Nel corso della trasmissione Mattina Live su Canale 8, i tempi televisivi non mi hanno consentito di articolare pienamente alcune considerazioni che ritengo essenziali per comprendere il rapporto profondo tra scienza, fede e ragione.
Riprendo qui quel discorso, collocandolo nel contesto storico e concettuale che gli è proprio: la questione della “storicità” di Gesù di Nazaret, figura che la fede cristiana riconosce come il Cristo, va infatti inquadrata entro le coordinate della dinastia giulio-claudia e del mondo romano in cui maturarono gli scritti del Nuovo Testamento.
Tra i documenti che attestano, da una prospettiva non cristiana, la presenza e la diffusione del cristianesimo nascente, assumono rilievo le testimonianze di Plinio il Giovane e di Svetonio: due autori che, sebbene distanti per formazione e intenzioni, registrano nei loro scritti la vitalità di una comunità credente già radicata e riconoscibile, capace di sfidare i poteri religiosi e politici dell’Impero.
La storia dei primi secoli cristiani non è dunque mera cronaca di persecuzioni, ma segno di un progressivo confronto tra la fede e la razionalità dominante, tra la verità del Vangelo e le categorie del pensiero ellenistico.
Riflettere su questi rapporti significa, oggi come allora, riscoprire la possibilità di un dialogo fecondo tra fede e ragione, nel quale la ricerca storica non contraddice, ma illumina la dimensione spirituale del credere.

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