giovedì 21 novembre 2024

la strada dei giusti, Giovanna Russo Krauss ricorda papà Pio agli amici


Io di solito parlo a braccio ma oggi, vista l'occasione potrei emozionarmi per questo ho scritto qualcosa e ovviamente parlo a nome dei familiari e di tutti quelli che volevano bene a papà e vorrebbero tutti parlare. Ovviamente l'emozione è forte, però ho vinto io questo premio a parlare. Innanzitutto sono veramente fortunata di essere qui oggi, sono grata agli organizzatori dell'evento di stamattina e di questa occasione offerta per ricordare papà. Anche se aveva 70 anni e quindi non era certo un ragazzino, la morte di papà è stata certamente prematura e improvvisa e tutti noi fatichiamo a farci i conti perché papà era pieno di vita e aveva tanti anni ancora davanti a sé, anni in cui chiunque lo conosceva si sarebbe aspettato moltissime attività e perché così ci aveva abituati. Sicuramente per chiunque lo abbia conosciuto è di conforto sapere che papà sia riuscito a scrivere e pubblicare "come la luce dell'alba", metteva tanto cuore, tanto impegno in tutto quello che faceva nel lavoro di medico; nell'educazione alla salute; nel suo ruolo di cittadino attivo; di presidente della Marco Mascagna onlus; di guida escursionistica; di compositore; di cattolico e una breve parentesi, era anche un padre affettuoso, un marito presente un fratello, un suocero, un nonno, un amico. Nonostante questa vita piena di impegni, d'altronde stiamo parlando qui da più di un'ora di tutte le cose che faceva papà non è mai stato un uomo sfuggente; non è mai stato una persona a cui chiedevi una cosa e ti rispondeva: oggi sono impegnato, non lo posso fare. Sembrava sempre disponibile e pieno di tempo e allo stesso tempo era scrupoloso, come abbiamo ribadito più volte oggi: tutto quello che faceva lo faceva studiando prima, documentandosi, leggendo, non interveniva nemmeno in una discussione a cena senza che prima avesse detto: ma io ho letto da qualche parte. Un piccolo episodio perché mi è stato suggerito di raccontarlo per far capire come papà era estremamente generoso in tutto quello che faceva, è un episodio di cui mi ero dimenticata, me l'ha ricordato mio marito: una sera stavo parlando a telefono con papà e mi disse: ho cucinato la verza. Io non la so cucinare mi piaceva quella che preparava e gli risposi che era buona, la prossima volta che la prepari, avvisami perché mi piacerebbe mangiarla e Michele (mio marito), si ricorda che alle 22 e mezza papà citofonò sotto casa, sotto la pioggia: era venuto a portarmi la verza e una volta mi ha appuntata perché io non glielo ricordavo più. il suo talento più grande oggi se ne sono ricordati tanti, penso che sia stato l'amore per la gente e la capacità di dare agli altri non per protagonismo ma per una spontanea generosità tutto sempre accompagnato dal sorriso e da un invidiabile ottimismo. La preghiera che ha letto Mauro dice che la felicità non è nell'accumulare o nel possedere. Non ricordo le parole esatte ma papà ci credeva moltissimo e lo ha testimoniato: si è sempre dato per gli altri senza mai farlo pensare o mostrare un interesse personale nel farlo perché molte persone magari lo fanno per una gratificazione personale di ego nel sentirsi la riconoscenza degli altri, papà lo faceva perché era la sua natura e ne traeva gioia così perché era fatto in questo modo. Abbiamo detto i vari ruoli della vita di papà: il ruolo di scrittore l'ha riscoperto solo negli ultimi anni ma l'ha fatto come tutte le sue attività con serietà, con professionalità e con gioia. Questo libro (come la luce dell'alba), è una creatura che gli stava molto a cuore, possiamo dire che è il suo testamento complessivo perché di lasciti ce ne ha lasciati tanti e in questo libro si rivede tutto Pio pur non essendo strettamente autobiografico, il libro attinge a tutte le esperienze personali e dei suoi amici. Coloro che gli stavano più a cuore: i poveri, gli emarginati, le ingiustizie sociali, l'attivismo, le battaglie ecologiche e urbanistiche, la Fede, l'amicizia, l'amore e soprattutto l'amore per la vita. Chiunque sia venuto a una delle presentazioni e ce ne sono state tante ricorderà certo la palpabile gioia e l'orgoglio che papà provava per essere riuscito finalmente a portare al pubblico la sua opera non per il suo ego, ma per la soddisfazione di poter diffondere le cose in cui credeva e la sua esperienza. Sono quindi particolarmente contenta di poter pensare che anche ora che papà non c'è più le sue idee, la personalità, le testimonianze, continueranno a vivere attraverso il libro, la coerenza, la gioia di vivere, la consapevolezza di Pio, le hanno attivate fino all'ultimo momento e anche all'ultimo respiro tanto che ha avuto la forza e la lucidità di lasciarci con una lettera che ci aiuta a tenere dritta la barra ed accettare quello che lui aveva serenamente accettato e che noi fatichiamo a fare. Vorrei quindi chiudere questa splendida mattinata leggendo parte dell'ultima lettera di papà in cui si ritrova tutto Pio, sono parole che continuano a risonare e che in questi ultimi tre mesi si sono diffuse tra chi lo conosceva e anche tra chi non lo conosceva, moltissime persone sono venute da me in questi tre mesi dicendomi anche: mi dispiace di non avere avuto la possibilità di conoscerlo, di conoscerlo meglio perché o avevano letto il libro o avevano letto l'ultima lettera di papà e vorrei anche chiudere dicendo che un passo di questa lettera è stato scelto dalla ASL di Casetta per chiudere il programma dell'educazione sanitaria 2024-2025 segno che quando le parole non sono vuote ma sono accompagnate dalla testimonianza concreta diventano più forti della morte e quindi ecco le parole di papà: "questo è il mio ultimo messaggio avendone scritti tanti e avendo scritto e parlato molto potrebbe essere quasi superfluo ma non vorrei non avere detto qualcosa che era importante dire: ho avuto una vita bellissima piena di affetti, di gioie, di soddisfazioni, di belle musiche che mi hanno fatto sognare, consolare, sentire il mistero dell'esistenza, di bei romanzi e poesie lette di opere d'arte ammirate tra cui quelle naturali monti, boschi, prati, mare tramonti, albe, nuvole, ecc ho avuto una vita bellissima grazie soprattutto a tante persone che hanno inciso nella mia formazione e mi hanno regalato amore, amicizia, stima. Voglio dirvi per l'ennesima volta quello che ho imparato dalla vita e che ritengo sia importante dire e testimoniare: la cosa più importante è l'amore l'amore che diamo e che riceviamo la vita ha senso se è spesa per gli altri per migliorare la società per prendersi cura di chi è in difficoltà per aiutare gli ultimi a sollevarsi la vita è bella godete della bellezza della natura, dell'arte, della compagnia di chi vi vuole bene il denaro dà la felicità solo a chi ne ha poco, ma molto spesso può rovinare l'esistenza a tutti gli altri non affannatevi per esso e siate generosi con chi è povero molto generosi ma con intelligenza per aiutarli efficacemente non credete a chi vi offre spiegazioni semplici dei problemi della nostra società e non solo di essa a chi propone soluzioni facili a chi promette troppo, la realtà è complessa e difficile da cambiare ma cambia e noi possiamo indirizzarla in un verso o in un altro. Cercate di indirizzarla con tutte le vostre azioni piccole e grandi, il meglio un mondo più giusto, più pacifico più fraterno una società ecosostenibile. Giovanna Russo Krauss


domenica 13 ottobre 2024

Antonio Salvati, tzimtzum i giudici riluttanti

Siamo davanti alla coscienza imparziale presunta del giudice. E' una scena ricostruita, diremmo che è un fatto raccontato da fatti i quali a loro volta sono raccontati da testi, da documenti e la sentenza avviene su questo. Tutto il dilemma del magistrato di queste pagine è stato anche qui e cioè, possiamo noi arrivare a una imparzialità asettica capace di dire qualcosa in nome di un popolo, di determinare e sentenziare una giustizia finalmente infallibile? Il magistrato di tipo umano, il giudice non lo può fare perché è umano, però se noi andassimo in una città sottratta al tempo, agli errori e chiedessimo a una voce impersonale che sentenzia secondo una nuova giustizia che sia oggettiva, infallibile, incapace di errore? E' l'antico sogno dell'essere umano, soprattutto quando giudica.

Quello di giudicare come se fossero il Dio o gli dèi i quali in maniera imparziale dovrebbero dire così è e così sia. Gli dèi di tutte le fedi religiose storiche sono degli dèi i quali infallibilmente, indipendentemente dai fatti valutati tra o contro dicono: inferno, paradiso, premio per sempre, felicità totale. Proprio immagazzinando dati, per esempio, o records, proprio facendo suonare il campanello del telefono con la sentenza oggettiva, giusta e imparziale assoluzione, condanna i quattro reclusi, noi in attesa di giudizio alla fine di queste pagine confessano: si è chiarito tutto? Alla fine però, scrive l'autore, ho trovato finalmente la chiave di accesso che cercavo.

Ed è successo. Quando lui mi ha inserito dentro un record, subito dopo Pinocchio il libro che mi ha chiarito tutto, la Bibbia, niente di più. Un libro che chiarisce l'impersonale, giusto, oggettivo, indipendente, macchina, tutto.

Per attingere un perfetto indipendente, assolutamente giusto, che non dipenda dagli errori e dall'umore, noi dobbiamo ascoltare quella voce dopo che ha letto questo libro che ha chiarito tutto. Il valore anche religioso del romanzo sta in questa indicazione che viene percorsa molto attentamente. Quella voce, alla fine della nostra lettura, ci dice: siete riusciti in pratica a capovolgere  l'immagine della creazione disegnando un assoluto che è a vostra immagine e somiglianza e non vi incontrate.

Eppure, persino lui, sì, proprio lui, Dio, a differenza vostra, è così innamorato di tutte le vostre imperfezioni possibili che per creare il mondo non vi ha abbandonato come povera e inerte creatura, ma si è tirato indietro. Non possiamo scrivere di più per non togliere il piacere della lettura. Però certamente queste pagine provocatorie, molto belle anche letterariamente, ci dicano perché un libro può far sì che si integri anche la consapevolezza di una macchina impersonale.

Dio, proprio adesso che dovrebbe ricordarci i sacramenti, non sappiamo più che fine abbia fatto. L'algoritmo che definisce progetto determinato oggi sentenzia diventa umano nei momenti in cui legge i nostri libri. Chissà che non andrà proprio a finire così.

sabato 12 ottobre 2024

perché non possiamo non dirci Cristiani, letture e dispute sul saggio di B. Croce


Ortensio Zecchino, perché non possiamo non dirci “cristiani”. Letture e dispute sul celebre saggio di Benedetto Croce

Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2024, pagine 255, euro 18,00.

Sia la Prefazione (pagine 11-15) di Eugenio Mazzarella - filosofo e, come si autodefinisce, «uomo cristiano… alla trascendenza ragionevolmente obbligato da quel che vedo nell’immanenza» (pagina 13), sia la Postfazione di Dino Cofrancesco (pagine 231-249: un vero saggio dopo il saggio!) che precisamente, come si legge nel titolo, offre «un modesto non filosofico commento al saggio di Ortensio Zecchino» (pagina 231), già mettono bene, seppure sinteticamente, in evidenza i vari profili emergenti nella ricerca di Ortensio Zecchino. Soprattutto enucleano i temi di fondo del saggio, che Benedetto Croce pubblicò dieci giorni dopo una notte insonne del 16 agosto 1942, nel corso della quale gli balenò anche l’idea di scriverlo (pagina 5).

Comparso su “La Critica” del 20 novembre 1942, con il famoso titolo Perché non possiamo non dirci “cristiani” (pagina 6), di questo saggio di Croce, redatto non senza «travaglio… in quei tempi terribili» (pagina 88, numero 79), Zecchino - convinto fondatamente che esso non vada letto isolatamente, bensì «in un continuum con gli altri della stessa stagione» (pagina 196), «nel contesto degli scritti usciti dalla penna di Croce in quei terribili anni tra agonia del fascismo e alba democratica» (pagina 138) -, esamina, dunque, le premesse, i contenuti e gli esiti; e di esso, fin dalle prime battute, chiarisce testo e contesto, come in una scena iniziale di un’azione teatrale, di cui il prosieguo delle pagine offrirà un’analisi meticolosa e un informatissimo svolgimento analitico, frutto anche di consultazioni d’archivio di cui si dà conto puntualmente nel corso dell’avvincente esposizione.

Quello di Croce fu un saggio a cui arrise «una fortuna straordinaria», essendo peraltro edito «nel bel mezzo di una guerra “mondiale”», in un’«Europa» che «appariva ormai nazificata» (pagina 9) e allorché «nella primavera di quel ’42 erano cominciati a manifestarsi i primi scricchiolii del regime» fascista (pagina 10). Si andava ipotizzando la futura organizzazione di un Ordine nuovo, che coinvolgeva partiti, intellettuali e perfino la santa Sede. Ci ricorda il volume: «Nell’Università cattolica di Milano già alla fine del 1941 un gruppo di “professorini” aveva cominciato a riunirsi intorno a Giuseppe Dossetti… Nell’agosto del 1941 da Ventotene era partito il manifesto Per un’Europa libera e unita di Spinelli, Rossi e Colorni… Nel settembre di quel 1942 Alcide De Gasperi, con un manipolo di volontari, fondò a Milano la Democrazia cristiana, nella casa di Enrico Falk» (pagina 11). In seguito, i peculiari rapporti di Croce con il “caro De Gasperi” saranno intensi (l’ultima lettera di Croce a lui è del 25 gennaio 1951), come si vedrà particolarmente, morto Croce il 20 novembre 1952, nell’orazione in memoriam pronunciata da De Gasperi, in cui, come attesta la figlia, la voce commossa del padre manifestò i suoi sentimenti verso il “prezioso amico” (pagina 195).

giovedì 10 ottobre 2024

crisi della totalità e tramonto delle ideologie

Cassino, 4 ottobre 2024.
Presentazione dei volumi XI e XII della serie “Civitas et humanitas”, concernenti rispettivamente: crisi delle ideologie e nuove istanze etico-sociali e crisi della totalità e rischio sopravvivenza.

I due volumi che oggi per la prima volta ufficialmente si presentano aprono la strada all’intuizione di Alberto Nave nel dare il titolo al volume oggi in allestimento e che speriamo di leggere entro Natale 2024. La vicenda storica e tecnologica, che ha condotto agli attuali esiti della tecnologia digitale e della Intelligenza artificiale, ri-propone, infatti, l’antica discussione circa la dialettica tra uomo e macchina, già adombrata nel Protagora platonico e ripresa all’inizio del Novecento da H. Bergson. La visione ideale-reale di Platone, che correlava la genesi della tecnica a un legame tra cielo e terra, tra dei e umani, sembra tratteggiare i prodromi di quello che sarà denominato paradigma della tecnica, di cui oggi l’esempio più avanzato - ma sempre cangiante - viene enunciato nella sigla inglese AI (= Artificial Intelligence). In essa si condensa il profilo dell’artificio/artefatto/prodotto che l’uso delle macchine pensanti è in grado di produrre, utilizzando la miriade di dati e informazioni raccolte e trattate dall’essere umano, che le affida a un algoritmo informatico e ri-utilizzate in maniera generativa da apparecchi digitali e informatici. Com’è stato ben osservato: «Nel mito raccontato da Protagora si trova così enunciato il paradigma della tecnica, che né tecnofobi né tecnolatri metteranno mai in questione, e che costituisce, in ultima analisi, la cornice  di tutta  la  riflessione  sull’essenza  della  tecnica  della  linea  maggioritaria  del pensiero Novecentesco… La tecnicità è presentata come compensazione di un cedimento originario, la strumentalità è intesa come protesi, supplemento, aggiunta, atto  secondo  di  un  atto  primo (il Dasein, la mancanza vissuta), la tecnica come processo di ominizzazione e di disvelamento di un “mondo” solo umano, differente per natura dall’ambiente ove continuano a vivere, in modo irriflesso, gli altri enti naturali, le altre potenze. In una parola: la tecnica è ascritta ad una potenza che può potere e che dunque trova nella “negazione”, nel potere di non (passare all’atto) la cifra della sua libertà sovrana»

sabato 5 ottobre 2024

Libri come ali, Ulla Enger a Santa Maria la Nova

I libri mettono le ali

C'è un riferimento specifico alle metafora delle ali e del volo dei libri nella poesia There is no Frigate like a Book di Emily Dickinson (1830-1886), dove l'autrice paragona i libri a una nave che può trasportare le persone in mondi lontani senza il bisogno di muoversi fisicamente.
La poesia suggerisce che i libri hanno il potere di portare i lettori in viaggi mentali, simile a come se avessero ali:

Non esiste un vascello veloce come un libro per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina di poesie che si impenna questa traversata può farla anche il povero senza oppressione di pedaggio tanto è frugale il carro dell’anima.

La metafora delle ali e del volo fu usata da Immanuel Kant (1724-1804) nella Critica della ragione pura. Immanuel Kant utilizza l'immagine della colomba nella Prefazione alla seconda edizione della Critica della ragion pura, per illustrare un punto importante riguardo ai limiti della ragione umana e della conoscenza. Il celebre filosofo tedesco utilizza questa metafora della colomba, per spiegare come la ragione umana (paragonata al volo della colomba) possa credere erroneamente di poter raggiungere una conoscenza più pura o più avanzata (volare più facilmente) se fosse liberata dai limiti delle esperienze sensibili (l'aria). Tuttavia, proprio come la colomba ha bisogno dell'aria per volare, la ragione umana ha bisogno dei dati sensibili e delle condizioni empiriche per esercitare il proprio potere. Senza questi limiti, la ragione non può operare correttamente e la sua aspirazione a una conoscenza pura ed assoluta diventa un'illusione.

Corrado Ocone, il non detto della libertà

la strada dei giusti, Giovanna Russo Krauss ricorda papà Pio agli amici

Io di solito parlo a braccio ma oggi, vista l'occasione potrei emozionarmi per questo ho scritto qualcosa e ovviamente parlo a nome dei ...