Si stenta a credere che esista, dal punto di vista giuridico ed etico, un diritto ad abortire. Esiste, piuttosto, un riconosciuto diritto alla vita, sia da parte dei già viventi che di quelli che non sono ancora nati.
Quando in Italia fu varata una legge sulla interruzione volontaria della gravidanza, lo si fece non per sdoganare un diritto della donna ad abortire, ma per consentire, a determinate condizioni e comunque garantendo il dissenso o obiezione di coscienza ai sanitari, di poter interrompere gravidanze indesiderate in ambiente asettico e non ricorrendo a vammane, con grave rischio di infezione.
All'epoca la stessa Corte costituzionale affermò una prevalenza tra chi è già persona, ovvero la gestante, e chi persona sta diventa, ovvero il feto. Fu una conquista civile, come qualcuno disse e dice? Alla pur giusta emancipazione femminile, si aggiunse una possibilità in più, ovvero quella di interrompere una gravidanza seppur cominciata. Non si valutarono fino in fondo i traumi psicologici della donna, su cui ormai esistono numerosi studi, anche psichiatrici, né si fece spazio adeguato al partner che, pure, allo start di quella gravidanza aveva contribuito.
La decisione della Corte federale usa riguarda un altro ordinamento e toglie valore di legge federale all'aborto, facendo ricadere sui singoli stati federati la responsabilità di leggi ad hoc.
Per quanto riguarda l'Italia, una discussione serena dovrà discutere i seguenti punti. Primo la gestione bisessuale della fecondità. Secondo, il diritto dei futuri nati ad avere in eredità un pianeta eticamente vivibile. Terzo, la contraccezione precoce e la gestione consapevole della fecondità femminile. Quarto, incentivazione a forme di adozione per bambini concepiti ma non più desiderati.
Tutto questo va discusso al di là delle appartenenze religiose.