aggiornamenti in evidenza

Scenari in tempo reale, in questo importante momento di transizione, un altro strumento si aggiunge: Vatican news, le ultimissime.      Il Direttore del Centro di Filosofia Italiana, prof. Aldo Meccariello, mi ha delegato in collaborazione col prof. Clemente, all'organizzazione del Festival di filosofia, dal 21 al 25 ottobre 2025, presso il polo universitario Jonico della città di Taranto, con tema "Oikjos. Dalla casa comune all'ecologia integrale". Aderiscono all’iniziativa la prof.ssa Franca Meola e la prof.ssa Mena Minafra dell'Università Luigi Vanvitelli di Caserta.      Il Direttore del Centro di Filosofia Italiana, prof. Aldo Meccariello, mi ha delegato in collaborazione col prof. Clemente, all'organizzazione del Festival di filosofia, dal 21 al 25 ottobre 2025, presso il polo universitario Jonico della città di Taranto, con tema "Oikjos. Dalla casa comune all'ecologia integrale". Aderiscono all’iniziativa la prof.ssa Franca Meola e la prof.ssa Mena Minafra dell'Università Luigi Vanvitelli di Caserta.

venerdì 25 aprile 2025

Torquato Tasso 430° anniversario, dietro le quinte del convegno

 
Tasso filosofo, l’ombra lunga della poesia e del pensiero tragico 
Sorrento, 430° di Torquato Tasso, studi preparatori al convegno del 7-8 novembre 2025 

In vista del convegno che si terrà a Sorrento nel novembre 2025 per il 430° anniversario della morte di Torquato Tasso, il nostro lavoro preparatorio ha preso la forma di un’indagine appassionata, un’esplorazione tra storia, letteratura e filosofia. Alcuni spunti raccolti nel corso degli incontri preparatori – disordinati, talvolta emozionati – compongono oggi questo episodio, un dietro le quinte che già lascia intuire la ricchezza dell’evento in arrivo. Torquato Tasso visse e scrisse in un tempo segnato da scontri epocali, come la battaglia di Lepanto del 1571, consumata alle soglie del Golfo di Corinto. Un evento militare simbolico, ma dal guadagno politico forse meno incisivo. Proprio in quell’anno, Tasso, grazie all’intercessione di Lucrezia d’Este, entra nel mondo cortigiano degli Estensi. È un tempo inquieto, segnato dal confronto costante con l’Oriente, che aveva conosciuto momenti cruciali già dal 1453, con la conquista ottomana di Costantinopoli. Solimano il Magnifico aveva poi guidato l’assedio di Vienna nel 1529, fallito, eppure evocativo di un’Europa che percepiva un’inquietudine crescente. Tasso vive questo scenario. Ne respira il peso. Ne fa poesia, ma anche pensiero. Il suo progetto, infatti, non è solo poetico: è anche storico e, in una certa misura, filosofico. È la radice di quella che potremmo chiamare – con prudenza – una linea tragica del pensiero italiano, che vedrà in Giacomo Leopardi uno dei suoi massimi esiti, ma che forse, già in Tasso, ha il suo archetipo inquieto. Per questo il nostro convegno vuole essere inedito: non solo il Tasso poeta, ma il Tasso pensatore. Un Tasso che, pur non sistematizzando il suo pensiero, apre spazi di riflessione che la filosofia italiana non può trascurare. In questo senso, egli rappresenta una possibile radice alternativa all’idealismo egemone. Una traccia sotterranea che affiora nei tragici del Novecento: da Caracciolo a Renzi, da Pareyson, Tilgher. La filosofia che ci interessa, qui, è quella che nasce dal tormento, dalla parola che cerca senso nel disordine del mondo. Non è un caso che Tasso abbia avuto bisogno di “sceri” – appunti, frammenti – per misurarsi con il pensiero, a differenza, ad esempio, di Leopardi che lo fa già in forma sistematica. Ringraziamo anche il Centro per la filosofia italiana, l’Istituto Torquato Tasso, e naturalmente l’Hotel Syrene di Sorrento, luogo ospitale e simbolico, con la sua vista sul Golfo che sembra tenere insieme storia e poesia. Un grazie a Nigel Wengeris, che con la sua documentazione fedele ci consente di raggiungere migliaia di persone, e all'Unitrium, sempre presente. Questo è solo un assaggio. Il Tasso che vogliamo scoprire – e riscoprire – non è solo quello che scrisse la Gerusalemme liberata, ma anche quello che, attraverso le parole, ci consegna un’interrogazione viva sul tragico, sull’Occidente, sull’umano.

L’attualità del metodo educativo di San Giovanni Bosco

L’attualità della pedagogia del metodo educativo di San Giovanni Bosco (1815-1888)

 di Giuseppe Lubrino



 




Per comprendere appieno la ricchezza e l'attualità della pedagogia di Don Bosco, attraverso l'applicazione del suo metodo educativo "preventivo", è essenziale considerare il contesto storico ed educativo in cui operò. Il 1800 in Italia fu il secolo del Risorgimento e della rivoluzione industriale, un'epoca di ricerca dell'identità e dell'unità nazionale. In ambito educativo, prevaleva il metodo "repressivo", basato sulla "punizione" e il "castigo" per "correggere" i comportamenti indesiderati degli allievi. Questa ‘pedagogia del terrore’, in alcuni casi, allontanava i giovani dalla scuola e dall'istruzione, costringendoli a intraprendere la dura strada del lavoro sottopagato o, addirittura, a cadere nella delinquenza.


San Giovanni Bosco, vivendo e operando nel nord Italia, avvertì fin da giovane una ‘chiamata’, una forte inclinazione che lo spinse ad abbracciare il sacerdozio cattolico e, parallelamente, a dedicarsi all'educazione dei giovani. È in questo contesto che egli teorizzò il metodo preventivo, partendo da un approccio non sistematico, poiché Don Bosco non si considerava un pedagogista nel senso stretto del termine. Questo approccio educativo si fonda sui principi di ragione, religione e amorevolezza. La relazione educativa è il fulcro di questo metodo: l'educatore, per "prevenire" comportamenti inappropriati, deve instaurare con i discenti un rapporto basato sull'amorevolezza, la fiducia e l'empatia. L'educatore si pone come compagno di viaggio e guida per l'educando.

Questo metodo rivoluzionò il pensiero pedagogico-educativo dell'epoca. Don Bosco, nel teorizzare e applicare tale metodo, partì da una visione antropologica positiva, derivata dalla Bibbia e dal Cristianesimo: l'essere umano è capace di bene, nonostante la sua inclinazione al male. Il ‘peccato di Adamo’ ha deturpato, ma non ‘distrutto’ - come sosteneva il giansenismo, ancora influente in quegli anni - il cuore dell'uomo, rendendolo resistente alla realizzazione del bene. Tuttavia, con l'approccio giusto e l'aiuto della grazia divina, l'uomo, e in particolare il giovane, è capace di bene. La visione educativa di Don Bosco si fonda sul presupposto biblico che ogni giovane possieda una naturale predisposizione al bene. Questa, tuttavia, può essere repressa dai condizionamenti del contesto familiare, scolastico e sociale. L'educatore, quindi, deve impiegare la ragione, la religione e l'amorevolezza per ‘tirare fuori’ questa predisposizione, farla emergere e coltivarla nel tempo. A partire da tali presupposti, si comprende l'ideazione dell'oratorio, ispirata a San Filippo Neri, concepito come spazio e luogo di educazione e formazione. Questo avveniva attraverso attività ludiche, ricreative, sportive, musicali, teatrali, uscite e mediante l'educazione alla fede. Don Bosco riteneva inoltre indispensabile che l'educatore fosse in grado di intercettare e distinguere l'indole degli educandi, sollecitando le loro attitudini e valorizzando i loro talenti attraverso una relazione educativa impostata sull’esercizio di una paternità comprensiva. Così facendo, si possono ‘prevenire’ e ‘correggere’ nei giovani attitudini non buone, si può deragliare l’instaurarsi di cattive abitudini. Si rende necessario, inoltre, l’esercizio e l’educazione alla disciplina (indicare delle regole e sollecitarne l’osservanza), attraverso la vigilanza e la testimonianza di una vita onesta. L’educatore deve essere credibile e mostrare ai giovani che quanto va dicendo è concretamente realizzabile. Infine, don Bosco ripeteva spesso quanto segue:

giovedì 24 aprile 2025

il contributo di Berlinguer alla democrazia italiana, Antonio Bassolino per la Nova incontra

Il ruolo dei cattolici nella costruzione dell’Italia repubblicana 
Pasquale Giustiniani premier

..2. Cattolici e costruzione dell’idea repubblicana

È in un orizzonte dinamico della storia unitaria nazionale e del ruolo dei cattolici nella vita politica di questa Nazione, che diventano molto attuali le esistenze e le proposte politiche di due uomini collocati su opposte frontiere partitiche, quali furono Aldo Moro ed Enrico Berlinguer.

 3. Berlinguer

Mi piace partire da Berlinguer. Segretario nazionale del Pci dal 1968 al 1984, anno della sua prematura scomparsa, Berlinguer (Sassari, 1922-Padova, 1984) è, fino al suo impegno come vice-segretario e segretario del PCI, un uomo in ombra, un uomo grigio, silenzioso nell’apparato di “curia partitica”, come ha scritto Miriam Mafai[1]. Eppure egli – che a Botteghe oscure veniva chiamato “re Enrico” per l’autorevolezza e il potere acquisito - rappresenta una testimonianza fondamentale per comprendere il perché del successo di una figura carismatica, in quanto capace di affrontare coraggiosamente, con realismo e spirito critico, delle problematiche e degli interrogativi legati a un periodo particolarmente controverso delle vicende italiane e di essersi aperto proprio al confronto con la Chiesa cattolica e, addirittura, alla convergenza politica con alcuni suoi esponenti culturali e politici. Il tutto mentre, a partire dal 1968, la società civile, attraverso le contestazioni studentesche e la lotta femminista, mandava chiari segnali di movimenti nuovi, che non si riconoscevano più nei partiti tradizionali come sarebbe, poi, accaduto platealmente con la fine della cosiddetta prima Repubblica...


Il contributo di Berliguer alla costruzione della democrazia italiana, Antonio Bassolino 
tra gli ospiti de La Nova incontra 

la formazione del giovane Bassolino al fianco di Enrico Berliguer

Lunedì, 12 maggio 2025 ore 17,30 
 complesso monumentale di S. M. La Nova in Napoli

L I B E R T A', P A C E, D E M O C R A Z I A

80 ANNI DALLA LIBERAZIONE
1945-2025

domenica 20 aprile 2025

Emmaus, la pedagogia Divina tra rimprovero e rivelazione

Emmaus: la pedagogia Divina tra rimprovero e rivelazione

di Giuseppe Lubrino


Uno dei racconti evangelici sulla Resurrezione di Gesù più suggestivi ed emblematici è senza dubbio il brano relativo ai discepoli di Emmaus (cf. Lc 24,13-35). Questi due discepoli, uno dei quali di nome Clèopa, mentre dell'altro l'identità rimane "ignota", particolare che alcuni studiosi interpretano come un'intenzione pedagogica dell'agiografo. L'anonimato del secondo discepolo permetterebbe, infatti, ai lettori di ogni epoca di identificarsi con lui. Dopo i drammatici eventi della passione di Gesù, i due discepoli, sconvolti, delusi e affranti, fecero ritorno alle loro case, abbandonando Gerusalemme. Durante il cammino, un particolare interessante si verificò: uno "Sconosciuto" si avvicinò a loro, condividendo il viaggio. Costui li interrogò, chiedendo perché fossero così afflitti. Essi narrarono di aver "visto" la loro "speranza" infrangersi dinanzi ai loro occhi, vedendo Colui nel quale l’avevano riposta appeso a una croce. La morte aveva portato via tutti i sogni, lasciando solo amarezza e disperazione, annebbiando i sensi, offuscando le emozioni, dissipando la gioia e spegnendo il cuore. Proseguendo il cammino, i due discepoli dissero allo "straniero" che alcune donne, recatesi al sepolcro, non avevano trovato il "corpo" di Colui che essi "speravano" fosse il Messia-Salvatore annunciato dai Profeti. Queste donne riferirono di aver avuto visioni nelle quali si attestava che Gesù era vivo. Tuttavia, gli Apostoli, che erano con loro, si erano precipitati al "sepolcro", ma non avevano visto il Corpo. Questi due uomini erano pertanto delusi: speravano ardentemente in un Salvatore politico, che avesse liberato la Palestina dal dominio di Roma e instaurato "qui ed ora", subito, mediante manifestazioni prodigiose, la pace, il diritto, la giustizia, ovvero la salvezza. Non essendosi verificato ciò, delusi e arrabbiati, volevano lasciarsi tutto alle spalle, tornare al punto di partenza e ricominciare la loro vita.

venerdì 18 aprile 2025

Coscienza e Potere, una riflessione antropologica contemporanea a partire dai racconti biblici

M. Ciccarelli, Coscienza e Potere, una riflessione antropologica contemporanea a partire dai racconti biblici, la valle del tempo edizioni, 2025, pp. 396.

Il professor Michele Ciccarelli, con Coscienza e Potere, propone una riflessione stimolante e attuale, un invito a liberare la coscienza dall'atrofia che la affligge e a riscoprirne il significato profondo. La coscienza, secondo Ciccarelli, è un'ambivalenza: la consapevolezza del vissuto emotivo e, al contempo, il principio che guida le scelte etiche, il discernimento tra bene e male.

L'autore affronta poi un altro tema cruciale: il potere. Spesso percepito in modo negativo, il potere, se esercitato con saggezza e sorretto da una coscienza matura, può essere garanzia di libertà e sicurezza. Ciccarelli dimostra come la coscienza, intesa sia come esperienza emotiva che come principio etico, sia il fondamento di un potere responsabile e liberatorio.

Attraverso una lettura originale e profondamente esistenziale dei testi biblici, Ciccarelli guida il lettore in un percorso di scoperta della coscienza e del potere, invitandolo a riflettere su questi temi cruciali per la vita individuale e collettiva. Recuperare l'idea kantiana di "coscienza", oggi pesantemente "depotenziata", è l'obiettivo del testo. L'intento è quello di "sollecitare" nei lettori curiosità, interesse, passione e ricerca per le grandi domande che possono conferire un orizzonte di senso possibile alla società del terzo millennio.

Nell'epoca dell'intelligenza artificiale, del progresso tecnologico e della transizione energetica - rileva Ciccarelli - l'essere umano non si interessa più del bene e del male. Il suo modo di essere e di agire appare dominato dalla logica esclusiva dell' "io". Diventa quindi necessario "ritornare alle fonti" della saggezza per recuperare l'umanità che l'uomo pare ormai stia smarrendo.

mercoledì 16 aprile 2025

meditando la Passione di Cristo, costruire alleanze nel bene

 

Meditando la Passione di Cristo, costruire alleanze nel bene (cf. Lc 23,8-12).

🐧 << 'a meglio parola è ch’ella ca nun se dice>>

La migliore parola, talvolta, è quella che non si proferisce.

La saggezza popolare antica aveva ben compreso il valore del silenzio. Lo stesso che si può intercettare - ad esempio -  nel racconto della passione all’interno del Vangelo secondo Luca in merito a Gesù dinanzi a Erode Antipa (cf. Lc 23,8-12).

Un silenzio direi più che loquace che pone in evidenza la banalità e le contraddizioni del male. Si accusa falsamente Gesù di sobillare il popolo incitandolo a non rendere il proprio tributo a Cesare e ciò in nome della Torah  e gli stessi accusatori non si rendono conto che stanno commettendo “falsa testimonianza”. Si esalta Cesare e si manca al primo insegnamento della Torah: “Non avrai altro Dio all’infuori di me”. Si pone in luce che Erode e Pilato in occasione del processo “al giusto innocente” fanno pace e che fino a quel momento vi erano forti tensioni tra i due. Ciò sta a significare e, a dimostrare che, il male costituisce sempre la scelta più facile e quella che suscita più consensi ed alleanze. Il bene,invece, richiede impegno e per attuarlo a volte occorre bypassare innumerevoli ostacoli, poiché incontra forte contrapposizioni. Gesù però con il suo atteggiamento non si scompone, non si agita, semplicemente resta fedele al suo essere e al suo agire. Dinanzi ad Erode - personaggio dalla reputazione morale compromessa - colui che aveva autorizzato la morte del Battista, tace e prosegue per la sua strada. Il Signore insegna fino alla fine l’umiltà, la giustizia, l’amore. Da questo brano si può dedurre una lezione di resilienza nel bene, bisogna promuovere e costruire alleanze per rendere contagioso il bene e non il male. In quanti contesti oggi si può rilevare che il male dilaga e il bene é, il più delle volte, osteggiato, ostacolato e impedito? In non pochi contesti anche di fede sé si vuole criticare o screditare qualcuno- ad esempio- si trova subito una platea disposta ad ascoltare e ad aggiungere elementi, una giuria sempre pronta a dare verdetti. Se paradossalmente,invece, si propone di realizzare una buona opera a favore di qualcuno iniziano subito ed emergere dubbi, ostacoli, perplessità. Quante calunnie e diffamazioni oggi si propagano facilmente mediante l’utilizzo sconsiderato dei social? 

domenica 13 aprile 2025

Il trionfo dell'umiltà, attualità dell'Ingresso di Gesù a Gerusalemme

Il Trionfo dell'Umiltà: Significato e Attualità dell'Ingresso di Gesù (cf.Gv 12,12-19)

Il Vangelo secondo Giovanni si presenta come il più profondo e complesso dei Vangeli, sia per i contenuti teologici che per il suo itinerario di composizione e formazione letteraria. La tradizione, come afferma il biblista Claudio Doglio, sostiene che il Vangelo secondo Giovanni sia stato redatto ad Efeso in Asia minore verso la fine del I secolo dopo Cristo, tra il 98 e il 117, durante l'impero di Traiano. Tuttavia, la ricerca esegetica moderna suggerisce che il Vangelo abbia conosciuto più redazioni, realizzate in diversi luoghi dell'Asia minore e della Palestina. Questi dati fanno propendere per un percorso di redazione e composizione dello scritto più ampio, che si estenderebbe tra il 50 e il 100 d.C. (Cf. C. Doglio, Il quarto Vangelo, Edizioni Messaggero Padova (15 aprile 2015), pp. 563).

Nonostante le diverse ipotesi sulla sua genesi, nel IV Vangelo è possibile individuare la situazione storica della prima comunità cristiana, risalente all'Apostolo Giovanni. Secondo gli studi del biblista Alberto Casalegno, questa comunità era itinerante, con base a Gerusalemme, ma costretta ad emigrare ad Efeso a causa dei conflitti con le comunità giudaiche. Ad Efeso, la comunità dovette affrontare il problema dello gnosticismo, che negava la reale incarnazione del Verbo e la reale umanità di Gesù Cristo. Questi presupposti costituirebbero lo sfondo della narrazione evangelica giovannea, che racconta le vicende storiche legate alla vita, all'opera pubblica, al processo e alla passione di Gesù Cristo (cf. A. Casalegno, Perché contemplino la mia Gloria (Gv 17,24), introduzione alla teologia del Vangelo di Giovanni, San Paolo Edizioni (22 aprile 2006), pp.440).

Tralasciando le questioni tecniche legate ad un approfondimento biblico esegetico, si può privilegiare un approccio esistenziale al testo sacro, chiedendosi cosa questa Parola di Dio possa dire a noi oggi. Si legga, ad esempio, il testo dell'ingresso di Gesù in Gerusalemme durante l'ultima fase della sua esistenza umana.

sabato 12 aprile 2025

Salerno, Cenacolo letterario. Caravaggio, Incoronazione di spine ed Ecce homo

 

Due dipinti del Caravaggio sulla prima e sesta stazione della Via crucis

Prima stazione – Gesù condannato a morte – “Ecce Homo”.

Il tema dell’Ecce Homo è ispirato al passo dei Vangeli. Ponzio Pilato espose Cristo al popolo di Gerusalemme che ne chiedeva la condanna. Il prefetto romano assolse Gesù dalle accuse di aver complottato contro l’autorità di Roma ma le gerarchie ecclesiastiche ebraiche lo accusarono di blasfemia. Ecce Homo, (Ecco l’uomo), è il titolo dell’opera che riprende le parole usate da Ponzio Pilato per indicare Cristo alla folla. Prima dell’esposizione, un soldato mise sulle spalle di Gesù un panno lacero, gli mise sul capo una corona di spine e una canna tra le mani. Con questi oggetti il prigioniero fu presentato in modo derisorio come re dei Giudei.

Sesta stazione: alla condanna iniqua si aggiunge l'oltraggio della flagellazione. Consegnato alle mani degli uomini, il corpo di Gesù è sfigurato. Quel corpo ricevuto dalla vergine Maria, che faceva di Gesù "il più bello tra i figli dell'uomo", che dispensava l'unzione della Parola - "dalle tue labbra fluisce la grazia" (Sal 45, 3) -, viene ora crudelmente lacerato dalla frusta. Il volto trasfigurato sul Tabor è sfigurato nel pretorio: volto di chi, insultato, non risponde di chi, percosso, perdona di chi, reso schiavo senza nome,
libera quanti giacciono nella schiavitù.

Solo due parole di fronte alle tele di Caravaggio

Nell’opuscolo bellarminiano, secondo la tradizione, il Cristo pronuncia sette espressioni. Noi vogliamo soffermarci sulle due che avranno ispirato anche Caravaggio.

Prima parola: Padre, perdona loro perché non sanno quel che fanno. Scrive Bellarmino: «Delle prime tre parole, che riguardano gli altri, la prima è rivolta ai nemici, la seconda agli amici, la terza ai parenti. Il motivo di quest'ordine è il seguente: la carità soccorre prima i più bisognosi, e i più bisognosi allora erano i nemici di Cristo, e anche noi, discepoli di un così grande maestro, avevamo bisogno che egli ci insegnasse l'amore verso i nemici, che è più difficile e più raro dell'amore verso gli amici e i parenti, che in qualche modo ci è innato, cresce con noi e spesso diventa eccessivo».

mercoledì 9 aprile 2025

La sfida educativa, Benedetto XVI


La sfida educativa: Benedetto XVI

La violenza tra i giovani è in aumento. 60% dei giovani sotto i 26 anni ha paura del revenge porn online.  50% si sente alienato dalla vita reale e 50% ha subito molestie. Il bullismo e il cyberbullismo sono in crescita. Il sondaggio su 2.700 giovani condotto dall’ “Osservatorio indifesa” mostra che la violenza è diffusa e ha conseguenze devastanti: perdita di autostima, sfiducia e paura.(Cf. https://terredeshommes.it/comunicati/osservatorio-indifesa-2025-i-rischi-del-web-secondo-la-genz/). A partire da questi scenari si intende proporre una riflessione sulla questione educativa.  Come punto di partenza, si prenderà in considerazione la “Lettera sull’Emergenza educativa” di Benedetto XVI, consegnata alla diocesi di Roma nel 2008.  Questo permetterà di inquadrare la “questione disagio giovani” alla luce della fede cristiana. Nella sua missiva, Benedetto XVI affronta la questione educativa con uno sguardo bifronte, rivolto sia all'educatore che all'educando. Egli osserva che un'educazione integrale, capace di plasmare la totalità dell'essere umano, non può prescindere dall'instaurare e coltivare una relazione educativa asimmetrica, ma allo stesso tempo ispirata e sostenuta dall'amore, quale forza trainante dell'educazione stessa. L'educatore deve essere "credibile", offrendo ai suoi allievi affidabilità e fiducia attraverso una testimonianza di vita autentica che armonizzi l'aspetto professionale con la realtà quotidiana. Peraltro, Ratzinger conosce bene le varie tappe evolutive della crescita personale degli educandi, dall'infanzia all'adolescenza e alla giovinezza. Egli sottolinea come durante l'intero sviluppo educativo e formativo dei giovani sia necessario offrire loro un percorso formativo che li guidi nella costruzione di una solida identità personale, che li aiuti a sviluppare la capacità di costruire relazioni interpersonali, collaborative e che li conduca alla scoperta di orizzonti di senso possibili e percorribili. Il teologo bavarese osserva che per abbattere le barriere esistenti, è necessario superare e colmare il divario generazionale tra giovani e adulti. Questa "frattura generazionale" è l'effetto, non la causa, dell'attuale deriva educativa, dovuta alla mancanza di "trasmissione" di certezze e valori. In altre parole, secondo Benedetto XVI, le generazioni passate hanno mancato nei confronti dei giovani di oggi, non riuscendo a trasmettere loro valori umani autentici e a fornire figure di riferimento stabili per la loro crescita emotiva, affettiva e personale. Benedetto XVI si spinge oltre, affermando che una certa cultura relativistica e materialistica ha contribuito e contribuisce a fomentare nei giovani un senso di incertezza e fragilità caratteriale.

venerdì 4 aprile 2025

Seminatori di Speranza

Nel suo discorso del 29 marzo ai pellegrini di Rieti, Papa Francesco ha lanciato un messaggio potente e coinvolgente. Rivolgendosi ai fedeli che si erano recati sulle tombe degli Apostoli e avevano attraversato la Porta Santa per celebrare il Giubileo della Speranza, il Papa ha sottolineato l'importanza di essere testimoni di speranza in ogni ambito della vita. Si leggano le sue parole:

Vi incoraggio ad essere ogni giorno testimoni di speranza nei diversi ambienti ecclesiali ed esistenziali in cui vivete, per contribuire all'edificazione di un mondo più fraterno e solidale.

Francesco ha invitato i fedeli a essere "ogni giorno testimoni di speranza" nei diversi contesti in cui vivono, contribuendo così a costruire un mondo più fraterno e solidale. In diverse occasioni Bergoglio ha definito la Chiesa come un "ospedale da campo", dove i cristiani devono ispirarsi al “Buon Samaritano (cf.Lc 10,24-37)” e prendersi cura dei bisognosi, sia nel corpo che nell'anima.

Per essere pronti a questa missione, il Papa insiste spesso sulla necessità e  l'importanza di acquisire e sviluppare una buona e profonda formazione spirituale, basata sulla Parola di Dio e sui Sacramenti. La Chiesa in tal modo, diventa una "palestra" dove i fedeli possono irrobustire la loro fede e sviluppare la forza necessaria per diffondere fraternità e solidarietà nel mondo.

Dalla ecclesiologia di Papa Francesco emerge una visione dinamica e rivoluzionaria della Chiesa, che si presenta come un luogo di cura e di servizio, impegnata a portare speranza e conforto a tutti coloro che soffrono e sono nel bisogno.

Un'antica frase latina dice: "per aspera ad astra", ovvero "attraverso le asperità fino alle stelle". Questa frase sottolinea la necessità di sviluppare coraggio, determinazione e resilienza per superare le sfide e raggiungere il proprio potenziale nella vita. Queste qualità sono particolarmente importanti oggi, in un contesto sociale in cui molti giovani mancano di coraggio e determinazione nel costruire la propria identità personale. La complessità sembra essere la chiave di volta dell'attuale scenario culturale in cui vivono i giovani di oggi. Essi appaiono influenzati dal progresso tecnologico, spesso affetti da una sindrome di isolamento sociale, colpiti da disturbi alimentari e attratti da tendenze autolesioniste. Si registra un aumento di fenomeni come il cyberbullismo e il bullismo, che alimentano la violenza tra i giovani, a cui si aggiunge la crescente dipendenza dai social media.

mercoledì 2 aprile 2025

L'invenzione della casa. L'ordine domestico della polis

Al Books and Museum di Domenica 6 aprile 2025 presso il complesso monumentale di Santa Maria la Nova di Napoli, ore 11,00 il saggio di Valeria Pezza: L’invenzione della casa. L’ordine domestico della polis, Christian Marinotti edizioni, Milano 2025, pagine 120.

Quello delle case delle città greche nelle cosiddette colonie e nei siti della Grecia classica, è un mondo analogo a quello di fronte al quale si possono porre, insieme, sia l’archeologia che la storia dell’architettura e della topografia; ma anche l’antropologia culturale e lo storia delle idee, come illustra e dimostra l’acuto ed erudito sforzo di decifrazione, condotto per noi da Valeria Pezza in queste pagine. Così, le antiche pietre di Akragas (Agrigento) possono diventare la cifra di un’ambivalenza tipica dell’articolato e multifattoriale processo che viene opportunamente denominato “invenzione della casa”. A una prima, ma superficiale, vista, «la dimensione domestica appare rimossa e svalutata, in quanto non fondata sul gesto eroico, sulla pubblica e visibile esaltazione del potere, del conflitto e della forza» (p. 11). Invece, come si legge nella Premessa a questo volume (pp. 7-18)), la domanda di partenza va formulata in consonanza con quando ricorda il titolo del volume (peraltro arricchito da numerosi grafici e tavole): «Quando è stata inventata quella casa ripetibile e ripetuta che presiede alla costruzione stessa della città come luogo non tanto del potere religioso, politico, militare, ma della dimora dei suoi cittadini?» (p. 7).

Ecco spiegato perché, integrando il punto di vista consolidato che correlava l’architettura della polis classica alla sfera cosiddetta politica, «urgeva interrogarsi su quelle forme, il loro senso e la loro natura, chiedersi a quale dimensione domestica, a quali riti del quotidiano dessero luogo, misura e spazio, e in quale visione del mondo. Poi, perché tanto silenzio? Quale significato aveva la casa in quell’origine e cosa significa per noi oggi la casa?» (p. 9).

Di qui prende corpo, una diversa, e intrigante, prospettiva, perseguita egregiamente da Valeria Pezza, che aiuta a ri-significare il senso stesso dell’agire politico - teorizzato negli scritti politici dei filosofi greci classici - e a precisare nei suoi vari riverberi il rapporto tra privato (domestico), spesso relegato alla sfera della irrilevanza, e pubblico (politico, anche in senso militare e bellico, ma oggi altresì sociale e culturale): «In modo sorprendente insieme all’interrogativo su tempi e modi dell’invenzione della casa per tutti, emergeva quello, inquietante, su questa incomprensibile condanna all’insignificanza» del privato, se inteso soltanto come “relegato a ciò che è privo di senso”. Ecco perché ci si dovrà interrogare, continua l’Autrice: «è stato davvero così, sempre? Ed ora ha senso per noi privare di valore la quotidianità che scandisce la vita di ciascuno, o è proprio dentro la casa che vive e può maturare una politica non ridotta all’esercizio e all’autorappresentazione del potere?» (p. 10).

martedì 1 aprile 2025

Riforma e riforme, la riforma valdese e Ferrante Sanseverino


La riforma protestante e la riforma cattolica

Il movimento riformatore protestante moderno attraversa tutti gli strati della Chiesa cattolica a partire dalla fine del 1400. In particolare, Raffaele Calvino, con la sua chiesa di Ginevra, divenne un punto di riferimento fondamentale per il movimento riformatore italiano: nel bene e nel male, come modello da imitare o, al contrario, da criticare. Il «mito di Ginevra», nuova capitale della cristianità, antitetica a Roma e laboratorio di innovazioni politiche, economiche e sociali, rifulse, dagli anni Quaranta del 1500, conoscendo incrinature, ma non crisi. Le opere calviniane si diffusero nella penisola italica, in originale o in traduzione, grazie all’azione propagandistica di fedeli clandestini e degli esuli. I gruppi filo-protestanti, così furono presto chiamati, soprattutto con l’inasprimento della repressione ereticale da parte sia di altri protestanti, che da parte della controriforma cattolica, a metà Cinquecento, trovarono in Ginevra una meta per la loro diaspora e un sistema dottrinale ed ecclesiologico a cui ispirarsi in patria: un sistema solido e capace di fornire un’autorità normativa forte, un sostegno dottrinale e materiale alla vita comunitaria, una concezione eucaristica alternativa a quella cattolica, segno dell’identità e della comunione spirituale del gruppo. Anche il domenicano Fra’ Filippo Bruno, in religione fra’ Giordano, prima di finire sul rogo il 17 febbraio del 1600, nel suo girovagare per l’Europa, alla ricerca di una cattedra da cui poter insegnare liberamente la sua nova filosofia, fu anche a Ginevra per un periodo, aderendo al conclave riformato cittadino e, anche per questo, divenendo, tra gli inquisitori cattolici di Venezia e, poi, dal 1593 alla morte, di Roma, sospetto di eresia formale. Il «mito di Ginevra», nuova capitale della cristianità antitetica a Roma e laboratorio di innovazioni politiche, economiche e sociali, rifulse dagli anni Quaranta in poi, conoscendo incrinature, ma non crisi. Le opere calviniane si diffusero nella penisola, in originale o in traduzione, grazie all’azione propagandistica di fedeli clandestini e degli esuli. I gruppi filoprotestanti, soprattutto con l’inasprimento della repressione ereticale a metà Cinquecento, trovarono in Ginevra una meta per la loro diaspora e un sistema dottrinale ed ecclesiologico a cui ispirarsi in patria: un sistema solido e capace di fornire un’autorità normativa forte, un sostegno dottrinale e materiale alla vita comunitaria, una concezione eucaristica affatto alternativa a quella cattolica, segno dell’identità e della comunione spirituale del gruppo.

 

La riforma valdese

Bernardino Ochino, nelle sue propagatissime Prediche, riprese i temi principali dell’Istituzione di Calvino, sia pure mescolati con elementi  detti valdesiani. Il capolavoro calviniano fu diffuso anche da una figura centrale nel valdesianesimo, Marcantonio Flaminio, che ne trasse brani e spunti per l’elaborazione di quell’originale sintesi di idee, insieme valdesiane e riformate, che è Il beneficio di Cristo, di cui egli fu coautore insieme con Benedetto da Mantova. Quel «dolce libriccino», come lo definì il Vergerio, stampato senza vincoli a Venezia nel 1543, fu forse il testo eterodosso divenuto più letto e più famoso in Italia:  secondo Vergerio, nella sola Venezia ne erano state vendute 40.000 copie in sei anni, e ciò per il messaggio di profonda spiritualità e di rinnovamento religioso di cui apparve latore. Esemplare è la confessione di un illustre prelato valdesiano, il protonotario apostolico Pietro Carnesecchi (giustiziato nel 1567), che dichiarò ai giudici: «Essendo il Flaminio [Marcantonio] alloggiato meco in Fiorenza, mi aveva facto vedere un poco della Institutio di Calvino, che mi aveva imbuta la mente di simili opinioni, nelle qali andai continuando et crescendo insino al anno 1545, legendo spesso di quelli libri, et conversando con quelle persone che erano atte a confermarmele nell’animo».

Corrado Ocone, il non detto della libertà

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