La Parabola del Seminatore (Cf. Mt 13,1-23): Accoglienza e Prossimità nel Mondo di Oggi
Il Vangelo secondo Matteo, uno dei quattro Vangeli canonici
del Nuovo Testamento, è stato redatto con molta probabilità intorno al 70 d.C..
Le teorie sulla sua datazione sono molteplici e spesso discordanti tra gli
studiosi. Si ritiene che il testo, così come lo conosciamo oggi, sia il
risultato di una redazione che ha raccolto una versione ebraica precedente,
assemblandola con materiale proveniente dalla fonte Q e dalla redazione di
Marco.
Tradizionalmente, questo Vangelo è stato attribuito
all'Apostolo Matteo Levi, ma oggi molti studiosi considerano questa
attribuzione poco plausibile. L'autore del Vangelo è presumibilmente un giudeo
convertitosi al cristianesimo, il cui scritto è rivolto a una comunità ebraica.
Un aspetto distintivo del Vangelo di Matteo è la sua
ricchezza di citazioni dall'Antico Testamento, il che lo rende particolarmente
significativo per la comprensione delle radici ebraiche del cristianesimo.
Inoltre, è importante notare che il Vangelo secondo Matteo
ha avuto una notevole rilevanza nella Chiesa antica, non incontrando difficoltà
nell'essere inserito nel canone ufficiale delle Sacre Scritture, sancito
definitivamente dal Concilio di Trento (1545-1563). Questo
successo è attribuibile al suo stile catechistico, che si presta bene alle omelie
e alla preparazione dei neofiti per i Sacramenti dell'iniziazione cristiana,
alla predicazione e all’annuncio del kerygma.
Le parole di Matteo, come un fiume in piena, trasportano il lettore in un
viaggio di fede, illuminando il cammino verso la salvezza.
Una possibile
struttura del testo la apprendiamo dal commento del noto biblista Ernesto
Borghi: "Il Cuore della Giustizia,
Vivere il Vangelo secondo Matteo, Paoline Editoriale Libri (1 settembre
2001), pp. 278". Il Vangelo si articola in due parti principali, come un
mosaico sapientemente composto:
●
Cinque discorsi di
Gesù (Cf. cc. 5-7;10;13;18;23-25), che risuonano come parole di
fuoco, illuminando la via da seguire.
●
Narrazione degli
eventi della sua vita(Cf.cc.1-4;8-9;11-12;14-17;19-22;26-28), che ci
trasporta in un viaggio ricco di emozioni e di insegnamenti.
Il Vangelo è un vero e proprio genere letterario all’interno
della Bibbia. Oltre ciò, per ben comprendere il significato del messaggio che
esso intende veicolare si rende necessario rilevare quale metodo Gesù adoperava
per trasmettere il suo insegnamento che, come è noto, si prefiggeva due
obiettivi: dire alla gente della sua epoca e, con essa all’umanità di tutti i
tempi, chi è Dio e quale è il suo progetto di salvezza a favore dell’umanità e dire
anche chi è l’uomo e come può porsi dinanzi a tale progetto. Immaginati un uomo
che cammina per le strade polverose della Palestina, circondato da persone che
cercano risposte alle grandi domande della vita. Questo uomo è Gesù, e la sua
voce risuona con una forza e una chiarezza uniche.
Per insegnare, Gesù non usa discorsi astratti o formule
complicate. Sceglie invece le parabole, storie semplici tratte dalla vita
quotidiana, ma cariche di significato profondo.
Le parabole di Gesù non sono semplici racconti, sono
finestre aperte su un mondo di verità nascoste. Parlano di un contadino che
semina semi, di un pastore che cerca una pecora smarrita, di un banchetto
nuziale. Queste immagini familiari, che tutti possono comprendere, nascondono
un messaggio potente su Dio, sull'uomo e sul suo destino.
Gesù attinge alla saggezza dell'Antico Testamento, alle
parabole sapienzialiche si tramandavano da generazioni. Ma le sue storie sono
uniche, piene di originalità e di un'intensa carica emotiva.
Le parabole di Gesù non sono solo parole, sono inviti ad
aprire il cuore e a cercare il senso profondo della vita. Sono un invito a
diventare protagonisti della propria storia, a seguire la luce che illumina il
cammino. Le parabole sono parte integrante dell’annuncio di Gesù del Regno di
Dio e costituiscono un appello incessante alla conversione ovvero a dare alla
propria esistenza una traiettoria diversa, a cambiare il proprio modo dí
pensare, di stare al mondo, di agire. È emblematica in tale contesto la Parabola
del Seminatore in Mt 13,1-23:
Immagina un campo, vasto e sconfinato, sotto il sole caldo.
Un contadino, con passo sicuro, getta a piene mani semi sulla terra. Alcuni
cadono sul sentiero battuto, altri su terreno roccioso, altri ancora tra le
spine. Solo alcuni pochi trovano un terreno fertile, pronto ad accoglierli.
Questa è la scena che si presenta ai nostri occhi nella parabola del seminatore, un'immagine semplice ma potente che ci invita a riflettere sulla Parola di Dio e sul suo impatto sulle nostre vite.
La Parola, come il seme, ha il potere di crescere e fiorire,
ma solo se trova un terreno fertile, un cuore aperto e pronto ad accoglierla.
Il noto biblista e teologo Alberto Maggi identifica il "segreto di
Gesù" nell'uso delle parabole come strumento per comunicare un messaggio
rivoluzionario di amore e salvezza. Questo messaggio si basa su un'idea nuova e
fondamentale: Dio è il Padre di tutti, non solo il liberatore e salvatore di un
popolo specifico, ma di tutti i popoli della terra. L'utilizzo delle parabole,
quindi, diventa un mezzo per diffondere questa verità universale, rendendola
accessibile e comprensibile a tutti. All'interno della parabola, si possono
identificare diverse tipologie di persone. Alcuni accolgono con gioia il
messaggio di Gesù, ma essendo ancora immaturi e privi di una personalità
solida, diventano incostanti. Come un terreno superficiale, non riescono a
trattenere la semente della Parola, che presto appassisce.
Altri, invece, comprendono il valore del messaggio di Gesù,
ma nello stesso tempo sono attratti dal materialismo e dalle ricchezze.
Decidono di voltarsi dall'altra parte, lasciando che le preoccupazioni del
mondo soffocano la Parola come le spine che crescono tra le piante.
C'è poi chi accoglie il messaggio, ma si lascia schiacciare
dal peso della propria vita, dalle preoccupazioni, dai problemi e dagli
affanni. Queste persone diventano come
il terreno roccioso, dove la Parola non riesce a mettere radici e appassisce
subito. Infine, chi accoglie la Parola con cuore aperto, la lascia germogliare
e fiorire, come un seme che trova terreno fertile. In questo terreno, i talenti di ognuno
sbocciano e crescono, portando frutto in abbondanza, a seconda della propria
natura e delle proprie possibilità. Il Dio di Gesù Cristo accetta e rispetta
ciascuna persona nel proprio essere, l'accoglie e le indica il modo attraverso
cui può raggiungere la massima "forma" che le è possibile. La parabola del seminatore illumina un aspetto cruciale: l'emarginazione e la discriminazione
sociale. Molti giovani vivono l'isolamento, il rifiuto e la non
accettazione del proprio modo di essere. Spesso, gli adulti, genitori e
insegnanti, non riescono a comprenderli e ad ascoltarli e accoglierli.
Lo stesso vale per stranieri, disabili, persone povere e
indigenti, che spesso si sentono rifiutati e si chiudono in se stessi. Il
Vangelo si rivolge a loro, ricordando che Dio
li ama.
La parabola, rivolgendosi anche alla Chiesa e ai credenti, li
invita ad essere attenti al "grido"
degli ultimi, a farli sentire accolti e
riconciliati. Ci invita a diventare ascoltatori
attenti e attivi del seme della Parola, mettendola in pratica e calandola
nel concreto del nostro vissuto. Dobbiamo vivere adottando facendo nostra la
logica dell'incarnazione del Verbo di
Dio, che si è spogliato di se stesso e si è fatto simile a noi.
La lezione che possiamo imparare da questo racconto evangelico è che, dopo aver accolto l'insegnamento di Gesù, dobbiamo passare all'azione, diventando e rendendoci prossimi agli altri. Per far fiorire la speranza nel mondo, dobbiamo vivere con la prospettiva cristiana: guardare al "già" e al "non ancora". Questo significa agire con la consapevolezza che la speranza è già presente (Regno di Dio), anche se non è ancora completa. Le nostre azioni devono riflettere questa speranza, diventando un seme che germoglia nel campo del mondo. Del resto, come ricorda Papa Francesco, il Vangelo deve poter raggiungere le "periferie esistenziali" per dire che Dio è come un albero che offre riparo e nutrimento a tutti, senza chiedere nulla in cambio.
di Giuseppe Lubrino
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