Pasquale Lubrano Lavadera-Angela De Cimma, SIGNURÌ, SIGNURÌ. Tra gli scolari della Napoli che non conta (Collana: Cronisti scalzi, 22), Prefazione di Giancarlo Siani (da «Il lavoro nel Sud», giugno 1979), Introduzione di Mario Pomilio, Postfazione di Cesare Moreno, IOD Edizioni, 2024.
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Vorrei riferire - provocato dal volume di Pasquale Lubrano Lavadera e
Angela De Cimma, ripubblicato dopo oltra 40 anni dalle edizioni IOD
perché ritenuto ancora attuale, pur nella radicale variazione del
contesto storico-sociale -, vorrei riferire tre episodi, per così dire,
"a margine" del libro, ma che, come osserveremo, ne riprendono i temi
di fondo.
Sono episodi che mi riguardano personalmente: uno, dei primi anni
Cinquanta del XX secolo, quando frequentavo le scuole comunali
dell'infanzia - dove arrivavano gli aiuti della famiglia Lauro, mentre
la POA (Pontificia Opera Assistenza) faceva pervenire i biscotti
americani e anche il latte - a noi bambini dell'asilo (come si chiamava a
quel tempo la scuola dell'infanzia); l'altro, della fine degli anni
Sessanta, nell'immediato post-concilio Vaticano secondo, allorché, nelle
aule della Facoltà teologica di Capodimonte, seguivo le lezioni di
"Letteratura religiosa contemporanea", allora tenute dal prof. Mario
Pomilio - che scrisse anche un pezzo giornalistico ripreso in questo
libro oggi in discussione -: Pomilio stava allora preparando il suo "Il
quinto-evangelio", mentre a noi studenti regalò, autografata, una copia
de L'uccello nella cupola. Il terzo episodio risale invece agli
anni delle mia immissione in ruolo, dopo il superamento del concorso a
cattedre per la scuola superiore: feci domanda e ottenni per due anni il
privilegio dell'esonero ministeriale dalla didattica, per essere
destinato nell'allora Provveditorato agli studi di Napoli, nell'ufficio
per la dispersione scolastica, esattamente nella gestione del progetto
ERSVA: un'iniziativa regionale che mirava a supportare lo sviluppo
dell'artigianato locale, anche attraverso la creazione di aree
attrezzate e distretti industriali, coordinandosi con le associazioni
artigiane e con la programmazione regionale per implementare interventi a
favore delle piccole imprese (era come l'anticamera del rapporto
scuola-lavoro).
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Il volume di cui oggi parliamo riferisce della condizione
dei bambini e ragazzi di Napoli e provincia e, infine, dei quartieri
spagnoli: gli alunni che chiamavano la maestra De Cimma "Signurì,
signurì!"; quelli che al mattino facevano colazione con pane e vino...
Una società e un contesto cittadino "nero di fumo e sporco
d'ingiustizia", quello narrato in queste pagine. Un contesto
socio-culturale dell'hinterland patenopeo che, per molti aspetti,
esibisce un basso continuo identico, come ben sa Cesare Moreno coi suoi maestri di strada.
Eppure, leggendo oggi le storie di quei bambini e ragazzi della
maestra De Cimma, molto deprivati e poveri, che rimangono, ahimé ancora
le stesse, mi è venuto di esclamare: Beati loro! Loro almeno avevano il
pane a colazione! Io, nella periferia di san Pietro a Patierno - anni
cinquanta del XX - non potevo neppure far colazione né col pane secco né
col vino, in una famiglia di otto figli con un padre artigiano e una
madre "guantaia a domicilio"... e, per mangiare qualcosa a mezza
mattinata, volevo assolutamente, sia io che le sorelle e i fratelli,
andare a scuola, nella classe della maestra Auricchio Elisa... Noi non
ci potevamo disperdere scolasticamente! Se mi fossi assentato, infatti,
non solo non avrei fatto colazione a casa, ma non avrei neppure avuto il
latte e i biscotti della POA in classe. Non c'erano dispersione e
mortalità scolastica a san Pietro a Patierno, per noi ultrapoveri di
quegli anni postbellici, in attesa del boom economico: a scuola
si mangiava, a casa no; e le 15 lire di vino, in un bicchiere di
alluminio, io lo andavo a comprare solo di domenica e soltanto per mio
padre... la domenica, a volte, mamma riusciva a comprarci la carne,
ovvero le frattaglie e le interiora macellate, che il negoziante le
vendeva a poco prezzo o gliele regalava... per i cagnolini (così diceva
mamma, nella sua povertà dignitosa, per avere gratuitamente qualche osso
da cui ricavare il "brodo di carne", o un poco di milza... a' meuza,,,).
Altro che scugnizzi dei quartieri spagnoli, dove insegnò la mitica
maestra De Cimma. Noi altri eravamo lavati nella bacinella di acqua
messa al sole, nell'unico bagno disponibile per tutti i bassi che davano
sul grande cortile di via Nuovo tempio 119. Le periferie urbane, ci
ricordano le pagine che aggiornano oggi l'antico racconto, non sono
ancora uscite da quegli antichi stati di disagio, che provocano ancora
numeri altissimi di mortalità e dispersione scolastica.
E vengo, così al terzo episodio (rimandando il secondo alla fine), la
mia esperienza al progetto ERSVA: erano gli anni in cui le cifre, che
aggiornavamo nell'Ufficio scolastico cittadino, facevano paura,
soprattutto per i tassi di analfabetismo, che anche allora significava
miseria, abbrutimento, rischi di violenze intrafamiliari... quelle
stesse cose terribili, che oggi ritornano tra le mura informatiche, come
ci ricordano i milioni di casi seguiti e segnalati da Meter, con la
guida di don Di Noto. Dal 1989 Meter e don Fortunato, pionieri nella lotta alla pedofilia in Italia e all’estero,
operano in maniera concreta e crescente contro ogni forma di violenza,
di sfruttamento, di indifferenza, per garantire ad ogni bambino il
diritto a vivere la loro innocenza. L’agire pragmatico, incisivo,
trasparente ha concesso a Meter il riconoscimento come massima autorità
nel contrasto alla pedofilia, alla pedopornografia online e alla tutela
dell’infanzia. Infanzia abbrutita significa spesso infanzia abusata.
Ennio Tardioli, nel suo recente volume, esamina, tra l'altro: "la
normativa che la Chiesa italiana si è data per far fronte ai casi di
abuso sessuale, esaminando il contesto ecclesiale compreso il Primo
Report sugli abusi commessi dal clero italiano nel biennio 2020-2021 e
l’evoluzione delle direttive in cui sono nate le vigenti Linee guida
della CEI per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili
aggiornate nel 2023" (ENNIO TARDIOLI, Clero e abusi sessuali. Fra diritto canonico e diritto secolare,
presentazione di Luigi Sabbarese, cs, 2024 Gruppo editoriale Tab
s.r.l., Roma 2024, p. 21). Lo stesso Tardioli descrive così la terribile
situazione di degrado sociale e religioso: "Per la Chiesa, come per la
società civile, non si tratta solo di fare il possibile per prevenire
gli abusi, ma è richiesto qualcosa di più radicale: un rinnovamento
personale e comunitario, che sappia collocare al centro la cura e la
protezione dei più piccoli e vulnerabili come valori supremi da
tutelare. Solo così sarà possibile vincere ogni silenzio, ogni
indifferenza, ogni pregiudizio o inattività per prendersi cura,
intervenire, fare giustizia, riparare e sanare" (p. 10).
E veniamo a Pomilio (scomparso a Napoli il 3 aprile 1990) che, nel
1979 scriveva su "Il Mattino" del 17 gennaio, un pezzo che viene ripreso
nel libro, notando l'onestà e la verità con cui Lubrano Lavadera
trascriveva l'esperienza della maestra De Cimma, non senza richiamare
gli affreschi letterari di Domenico Rea. Infatti, Pomilio, tornato a
Napoli dai soggiorni a Parigi e in Belgio, scrive sulle colonne del
«Mattino» e, nel 1954, esordisce in letteratura col romanzo L’uccello nella cupola, seguito di lì a poco da Il testimone (1956), Il nuovo corso (1959), La compromissione (1965, Premio Campiello), Il quinto evangelio (1975, Premio Flaiano) e Il Natale del 1833 (1983).
Nel 1960, Pomilio fonda, insieme agli amici Domenico Rea e Michele Prisco, la rivista «Le motivazioni letterarie». Ebbene, al primo e secondo anno di teologia, subito dopo il Vaticano secondo, il romanzo che Pomilio mi regalò, L'uccello nella cupola, ambientava nella cornice della città abruzzese di Teramo i drammi di un giovane sacerdote, bisognoso di verifica sul proprio ministero e di una giovane donna tormentata dai sensi di colpa, penitente ansiosa di espiazione. Mi colpirono, allora, quel volatile rimasto prigioniero nella cupola della chiesa, che lotta per uscirne fino a morire; era l’inizio e il simbolo dell’avventura di don Giacomo, che sottrae il protagonista alle mediocri abitudini della parrocchia — piccoli peccati, scarsa volontà — e lo introduce nei luoghi e nei sentimenti più oscuri, ponendolo infine di fronte a un cadavere, di cui egli si sente responsabile: è lui il responsabile della sorte di Marta, la donna che egli non è riuscito a strappare al delitto e alla disperazione?, ci chiedeva allora Pomilio in aula. Anche se ci riteniamo assolti, cantava De André, siamo lo stesso coinvolti! «Lo stato peccaminoso», dice uno dei personaggi di Pomilio, «rassomiglia a uno sfacelo di fronte al quale noi sacerdoti siamo spesso impotenti. Spesso, nonostante i nostri sforzi, nonostante la nostra buona volontà, siamo costretti ad assistere senza intervenire a una lotta oscura, straziante, che si svolge lontano da noi».
Nel 1960, Pomilio fonda, insieme agli amici Domenico Rea e Michele Prisco, la rivista «Le motivazioni letterarie». Ebbene, al primo e secondo anno di teologia, subito dopo il Vaticano secondo, il romanzo che Pomilio mi regalò, L'uccello nella cupola, ambientava nella cornice della città abruzzese di Teramo i drammi di un giovane sacerdote, bisognoso di verifica sul proprio ministero e di una giovane donna tormentata dai sensi di colpa, penitente ansiosa di espiazione. Mi colpirono, allora, quel volatile rimasto prigioniero nella cupola della chiesa, che lotta per uscirne fino a morire; era l’inizio e il simbolo dell’avventura di don Giacomo, che sottrae il protagonista alle mediocri abitudini della parrocchia — piccoli peccati, scarsa volontà — e lo introduce nei luoghi e nei sentimenti più oscuri, ponendolo infine di fronte a un cadavere, di cui egli si sente responsabile: è lui il responsabile della sorte di Marta, la donna che egli non è riuscito a strappare al delitto e alla disperazione?, ci chiedeva allora Pomilio in aula. Anche se ci riteniamo assolti, cantava De André, siamo lo stesso coinvolti! «Lo stato peccaminoso», dice uno dei personaggi di Pomilio, «rassomiglia a uno sfacelo di fronte al quale noi sacerdoti siamo spesso impotenti. Spesso, nonostante i nostri sforzi, nonostante la nostra buona volontà, siamo costretti ad assistere senza intervenire a una lotta oscura, straziante, che si svolge lontano da noi».
Il libro ri-edito ci presenta, quasi in contro-canto, lo sfacelo
sociale e culturale di una fanciullezza che la scuola non include, ma,
al massimo, segna tra le mortalità sociali e culturali. Uno sfacelo, di cui ci dovremmo sentire coinvolti e colpevoli.
E quando ci si accorge che bisogna intervenire, lo Stato lo
fa per Decreto, come circa due anni fa, con il "Decreto Caivano": in
vigore dal 15 novembre 2023 (convertito nella Legge 159 del 13.11.2023,
art. 12), si concentra sulla lotta alla dispersione scolastica e
all'abbandono scolastico, introducendo misure per rafforzare l'obbligo
di istruzione. In particolare, il decreto prevede la possibilità di
denuncia per i genitori che non mandano i figli a scuola, anche con
possibili conseguenze penali. L'obiettivo è quello di contrastare
l'evasione scolastica e garantire a tutti i minori l'accesso
all'istruzione. Signurì, signurì!,
dobbiamo ripetere alla maestra e ai genitori di turno delle nostre
perfierie... malgrado gli sforzi compiuti negli anni, anche dall'allora
professor Giustiniani, malgrado gli sforzi che hanno consentito di
ridurre il fenomeno, le diverse tipologie di dispersione scolastica,
esplicita ed implicita, sono tuttora dolorosamente presenti, soprattutto
nei territori più complessi ed a rischio di marginalità sociale. Questo
libro ricorda, terribilmente, che la Campania mostra ancora una crisi
educativa profonda. Non è più una storia degli anni Sessanta,
attraversata dalla tensione tra cattolicesimo e marxismo, oltre che
dalle avvisaglie di una crisi sociale che investiva anzitutto la
famiglia e la coppia. Ma, nel terzo millennio, in un cambiamento
d'epoca, siamo forse ancora alle prese con le contraddizioni fra
pubblico e privato. Mentre bambini e ragazzi invocano senza parlare,
chiusi come hichikomori nelle loro intelligenze atificiali, una Signurì che dia loro retta.
Pasquale Giustiniani
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