Al Books and Museum di Domenica 6 aprile 2025 presso il complesso monumentale di Santa Maria la Nova di Napoli, ore 11,00 il saggio di Valeria Pezza: L’invenzione della casa. L’ordine domestico della polis, Christian Marinotti edizioni, Milano 2025, pagine 120.
Quello delle case delle città greche nelle cosiddette colonie e nei siti della Grecia classica, è un mondo analogo a quello di fronte al quale si possono porre, insieme, sia l’archeologia che la storia dell’architettura e della topografia; ma anche l’antropologia culturale e lo storia delle idee, come illustra e dimostra l’acuto ed erudito sforzo di decifrazione, condotto per noi da Valeria Pezza in queste pagine. Così, le antiche pietre di Akragas (Agrigento) possono diventare la cifra di un’ambivalenza tipica dell’articolato e multifattoriale processo che viene opportunamente denominato “invenzione della casa”. A una prima, ma superficiale, vista, «la dimensione domestica appare rimossa e svalutata, in quanto non fondata sul gesto eroico, sulla pubblica e visibile esaltazione del potere, del conflitto e della forza» (p. 11). Invece, come si legge nella Premessa a questo volume (pp. 7-18)), la domanda di partenza va formulata in consonanza con quando ricorda il titolo del volume (peraltro arricchito da numerosi grafici e tavole): «Quando è stata inventata quella casa ripetibile e ripetuta che presiede alla costruzione stessa della città come luogo non tanto del potere religioso, politico, militare, ma della dimora dei suoi cittadini?» (p. 7).
Ecco spiegato perché, integrando il punto di vista consolidato
che correlava l’architettura della polis classica alla sfera cosiddetta
politica, «urgeva interrogarsi su quelle forme, il loro senso e la loro
natura, chiedersi a quale dimensione domestica, a quali riti del quotidiano
dessero luogo, misura e spazio, e in quale visione del mondo. Poi, perché tanto
silenzio? Quale significato aveva la casa in quell’origine e cosa significa per
noi oggi la casa?» (p. 9).
Di qui prende corpo, una diversa, e intrigante, prospettiva,
perseguita egregiamente da Valeria Pezza, che aiuta a ri-significare il senso
stesso dell’agire politico - teorizzato negli scritti politici dei
filosofi greci classici - e a precisare nei suoi vari riverberi il rapporto tra
privato (domestico), spesso relegato alla sfera della irrilevanza, e pubblico
(politico, anche in senso militare e bellico, ma oggi altresì sociale e
culturale): «In modo sorprendente insieme all’interrogativo su tempi e modi dell’invenzione
della casa per tutti, emergeva quello, inquietante, su questa incomprensibile condanna
all’insignificanza» del privato, se inteso soltanto come “relegato a ciò che è
privo di senso”. Ecco perché ci si dovrà interrogare, continua l’Autrice: «è
stato davvero così, sempre? Ed ora ha senso per noi privare di valore la quotidianità
che scandisce la vita di ciascuno, o è proprio dentro la casa che vive e può
maturare una politica non ridotta all’esercizio e all’autorappresentazione del
potere?» (p. 10).
E inoltre: «Allora perché questo silenzio sulla casa?
Perché quel mondo domestico che originariamente definiva l’οἰκεῖος (oikèios) luogo intimo, personale, familiare,
spazio suo proprio di ciascuno, ha finito per qualificarsi nel linguaggio
comune solo al negativo, come privato di valore e di senso, rimosso dalla
consapevolezza e dal pensiero?» (p. 13). Se, all’errore strutturale,
corrisponde un precedente errore di pensiero, esso potrebbe essere
sviscerato, come ci aiuta ora a fare l’Autrice, mediante una domanda ulteriore:
«Se il personale è il primo livello della politica, perché lo si tace?»
(p. 14).
Più che tana in cui rifugiarsi; più che ambito o luogo senza
rilevanza politico-sociale, la casa, con i suoi diversi riverberi classici dei
vocaboli che la designano, «ha un ruolo decisivo nell’elaborazione della
polis e dell’idea stessa della politica» (p. 15). E questo riguarda non
soltanto lo ieri, ma anche l’oggi e perfino il futuro, che anzi tutto ha una carica prolettica che
aiuta a decifrare le macerie dell’oggi: «Le macerie delle case bombardate in
Ucraina e in Palestina, sono l’immagine che meglio giudica la guerra,
mostrandone il carattere del tutto devastante e irrazionale. Le mura abbattute,
le case squarciate, la vita intima profanata ed esposta allo sguardo di tutti
richiama forse, nel segno della devastazione, quel desiderio nascosto che
interroga gli interni vissuti di case d’altri, come nelle scene iniziali del
Cielo sopra Berlino di Wim Wenders, o nei quadri di Hopper» (p. 16).
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