La riforma protestante e la riforma cattolica
Il movimento riformatore protestante moderno attraversa
tutti gli strati della Chiesa cattolica a partire dalla fine del 1400. In
particolare, Raffaele Calvino, con la sua chiesa di Ginevra, divenne un punto
di riferimento fondamentale per il movimento riformatore italiano: nel bene e
nel male, come modello da imitare o, al contrario, da criticare. Il «mito di
Ginevra», nuova capitale della cristianità, antitetica a Roma e laboratorio di
innovazioni politiche, economiche e sociali, rifulse, dagli anni Quaranta del
1500, conoscendo incrinature, ma non crisi. Le opere calviniane si diffusero
nella penisola italica, in originale o in traduzione, grazie all’azione
propagandistica di fedeli clandestini e degli esuli. I gruppi filo-protestanti,
così furono presto chiamati, soprattutto con l’inasprimento della repressione
ereticale da parte sia di altri protestanti, che da parte della controriforma
cattolica, a metà Cinquecento, trovarono in Ginevra una meta per la loro
diaspora e un sistema dottrinale ed ecclesiologico a cui ispirarsi in patria:
un sistema solido e capace di fornire un’autorità normativa forte, un sostegno
dottrinale e materiale alla vita comunitaria, una concezione eucaristica
alternativa a quella cattolica, segno dell’identità e della comunione
spirituale del gruppo. Anche il domenicano Fra’ Filippo Bruno, in religione
fra’ Giordano, prima di finire sul rogo il 17 febbraio del 1600, nel suo
girovagare per l’Europa, alla ricerca di una cattedra da cui poter insegnare
liberamente la sua nova filosofia, fu anche a Ginevra per un periodo,
aderendo al conclave riformato cittadino e, anche per questo, divenendo, tra
gli inquisitori cattolici di Venezia e, poi, dal 1593 alla morte, di Roma,
sospetto di eresia formale. Il «mito di Ginevra», nuova capitale della
cristianità antitetica a Roma e laboratorio di innovazioni politiche,
economiche e sociali, rifulse dagli anni Quaranta in poi, conoscendo
incrinature, ma non crisi. Le opere calviniane si diffusero nella penisola, in
originale o in traduzione, grazie all’azione propagandistica di fedeli
clandestini e degli esuli. I gruppi filoprotestanti, soprattutto con
l’inasprimento della repressione ereticale a metà Cinquecento, trovarono in
Ginevra una meta per la loro diaspora e un sistema dottrinale ed ecclesiologico
a cui ispirarsi in patria: un sistema solido e capace di fornire un’autorità
normativa forte, un sostegno dottrinale e materiale alla vita comunitaria, una
concezione eucaristica affatto alternativa a quella cattolica, segno
dell’identità e della comunione spirituale del gruppo.
La riforma valdese
Bernardino Ochino, nelle sue propagatissime Prediche, riprese i temi principali dell’Istituzione di Calvino, sia pure mescolati con elementi detti valdesiani. Il capolavoro calviniano fu diffuso anche da una figura centrale nel valdesianesimo, Marcantonio Flaminio, che ne trasse brani e spunti per l’elaborazione di quell’originale sintesi di idee, insieme valdesiane e riformate, che è Il beneficio di Cristo, di cui egli fu coautore insieme con Benedetto da Mantova. Quel «dolce libriccino», come lo definì il Vergerio, stampato senza vincoli a Venezia nel 1543, fu forse il testo eterodosso divenuto più letto e più famoso in Italia: secondo Vergerio, nella sola Venezia ne erano state vendute 40.000 copie in sei anni, e ciò per il messaggio di profonda spiritualità e di rinnovamento religioso di cui apparve latore. Esemplare è la confessione di un illustre prelato valdesiano, il protonotario apostolico Pietro Carnesecchi (giustiziato nel 1567), che dichiarò ai giudici: «Essendo il Flaminio [Marcantonio] alloggiato meco in Fiorenza, mi aveva facto vedere un poco della Institutio di Calvino, che mi aveva imbuta la mente di simili opinioni, nelle qali andai continuando et crescendo insino al anno 1545, legendo spesso di quelli libri, et conversando con quelle persone che erano atte a confermarmele nell’animo».
Nei primi anni Quaranta del Cinquecento, eventi cruciali
segnano la storia della penisola italica: il fallimento dei colloqui di
Ratisbona, l’istituzione del Sant’Ufficio, la convocazione del Concilio di
Trento, la scomparsa di figure carismatiche come Juan de Valdés, Gasparo
Contarini e Gian Matteo Giberti. Il movimento riformatore protetante decise,
allora, di intraprendere un’energica campagna di propaganda della nuova
teologia, attraverso la diffusione di una letteratura religiosa in volgare. La
fede in Cristo diveniva il fulcro della vita del cristiano e il solo strumento
di giustificazione: Ochino lo affermava apertamente nelle sue prediche,
esortando a credere che «haveremo il paradiso per gli meriti di Christo». Egli
non affrontava il tema delle opere, faceva solamente comprendere la loro
inessenzialità ai fini della salvezza, portando «soavemente» i suoi ascoltatori
a condividere quello che diverrà un principio fondamentale della Riforma
protestante. Tale dottrina e tali modalità di propaganda, Ochino le aveva
apprese, appunro. nel Circolo napoletano di Juan de Valdés: un riformatore
spagnolo che, con la sua concezione sincretistica di alumbradismo, erasmismo e
protestantesimo, forgiò le coscienze di molti italiani nel decennio tra il 1530
e il 1541, con il fine di compiere un rinnovamento dei cristiani e della chiesa,
pur senza rotture traumatiche con Roma.
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