Come ci suggerisce l’antropologia culturale, occorre, al di là del pluralismo teologico e sociologico delle singole fedi, riconoscere la religione come universale culturale, cioè fattore antropico persistente, indipendentemente dalle religioni istituzionali e dai processi da esse indotti, o assecondati. L’enfasi identitaria di tipo religioso può, tuttavia, diventare esasperazione dei localismi a tutto danno dell’universalità, così come si è verificato in alcuni paesi multinazionali e multireligiosi. Non è un caso che lo stesso cristianesimo, in campo sociale e in politica, deve oggi “battersi” su due fronti: contro una modernità che minaccia, nelle manifestazioni estreme, alcuni dei suoi valori, e contro il fanatismo delle frange religiose più radicali. Si finisce, in tal modo, in una progettualità socio-politica, che di biblico conserva soltanto il nome (Leviatàn) e che, non a caso, il teologo J. Moltmann ha potuto giudicare, in ottica teologica, come una vera e propria bestemmia espressa contro il Creatore. La soluzione ipotizzata, infatti, piuttosto che inaugurare una via di traduzione, sul piano socio-politico, di una specifica idealità cristiana nel ricco “mercato” delle proposte religiose, emargina progressivamente il religioso dalla città, dal viaggio, dai tours, anche dalla città delle radici, relegandolo nell’ambito del privato, del sentimentale, del vissuto, della coscienza interiore.
E
tuttavia, non è inutile ricordare che, oltre che le rotte del commercio mediterraneo,
la fede cristiana, fin dalle origini, percorse le rotte e le stazioni
dell’Oriente, attraverso la via del mar Rosso e, per terra, attraverso le
stazioni, già giudaiche prime che cristiani, che avevano raggiunto la lontana
Cina. La via marittima conduceva anzitutto in India. Le fonti letterarie,
archeologiche e numismatiche ci dicono che Roma antica esportava e importava il
corallo: il commercio orientale era molto importante per l’Impero, perché
apportava un forte guadagno nelle dogane, somme notevoli che servivano
soprattutto per il mantenimento dell’enorme esercito romano; si tratta di
un’amplissima rete di scambi tra Mediterraneo ed Eurasia, che la storia del
cristianesimo ha ignorato per molto tempo, ma che non si può ignorare. A sua
volta, la Cina aveva creato un suo sistema viario fino al limes romanus:
strade non romane e senza le pietre delle vie consolari che, già a partire dal
II secolo d.C., connettevano il mondo cinese con l’Occidente mediterraneo.
Erano strade utili per le interazioni commerciali, culturali e religiose. La
via della seta prende il nome dal lucroso commercio che si svolgeva nei tempi
della dinastia Han in Cina (207 a.C.-220 d.C.). Già intorno al 114 a.C. la
dinastia Han ampliò le rotte commerciali della sua via. I cinesi erano molto
interessati a garantire la sicurezza dei prodotti che commerciavano, al fine di
proteggere la rotta commerciale. Se si legge il cap. 18 dell’Apocalisse, si
trova l’elenco delle merci che, entro il primo secolo dell’era cristiana,
giungevano dall’Arabia felix e dall’India meridionale occidentale, in
particolare dalla città di Muziris (soprattutto, pietre preziose e pepe).
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