Antonella Cilento, La babilonese, “Romanzi Bompiani”, copertina di Iole Cilento, Giunti editori, Firenze-Milano 2024, pp. 374
«Certo, se a scrivere qui, oggi, fossero stati Dickens o
Balzac, Checov o Mastriani, niente si sarebbe potuto nominare, men che meno lo
sperma – in lingua locale sfaccimma… e tanto meno la profanazione erotica e
spiona della madonna Assunta di Filomena Argento. Non se ne sarebbero trovati
che pudichi, ma ammiccanti, cenni in francesi meno pii, come Maupassant, e ci
sarebbero voluti altri anni ancora prima di cadere nelle pagine segrete di
Apollinaire o in quella [quelle: piccolo raro svarione tipografico di questo
libro di Cilento!] celebri di Lawrence (p. 264).
Siamo, in questo gustoso passaggio narrativo del bellissimo e avvincente romanzo di Antonella Cilento, nella Sezione del romanzo intitolata “Filomena, 1881” (p. 205). Da esso ricaviamo i caratteri salienti dell’intreccio e del costrutto letterario di questo romanzo – che, forse, è anche un avvincente giallo, che attraversa, tra storia, magia e cultura popolare, varie epoche, arcaiche e moderno-contemporanee; a volte redatto in una fluente lingua napoletana –, il libro ci fa attraversare un lunghissimo arco di tempo: dal 653 a.C. (anno in cui inizia la prima Sezione, intitolata “Libbali” a p. 9), per giungere fino agli Anni Duemila
L’opera che leggiamo - uno scritto che si lascia divorare dal lettore, benché di carta e benché abbastanza voluminoso – è, per definizione dell’Autrice, «un romanzo fantastico» o anche una «avventura romanzesca» (p. 369). Ma è un romanzo che avvince, che dosa efficacemente la realtà colorita, drammatica e folklorica – come la peste a Napoli, scoppiata nove anni dopo la ribellione di Masaniello del 1647 (cfr. pp. 159-160) –, con la magia superstiziosa di una città «che se ne cade di fattucchiere, janare e zèngare» (p. 122). Città dove, ieri come oggi, può ritornare a vivere «questa egiziana, o araba, di nome Arballì o Abalì, che vive nella via di Carbonara ogni mattina… C’è chi la chiama Babbilònia, chi ’a Babbilonese» (pp. 122-123). Una città cosmopolita e insieme paesana
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