“Diffidenza e desiderio di
verità: un cammino educativo tra fragilità e fede”
Il consumismo ha introdotto la logica del “tutto e
subito”, vanificando ed eclissando quasi del tutto il senso del sacrificio.
Termini come “fatica”, “conquista”, “traguardo” sono stati espunti dal
vocabolario dell’esistenza, sostituiti da un imperativo autoreferenziale:
“posso, quindi devo”. Il fare ha soppiantato l’essere, il possesso ha preceduto
il desiderio.
La logica empirica ha invaso ogni ambito della vita,
al punto che ci si è autoconvinti che si debba credere e affidarsi solo a ciò
che è percepibile dai sensi, a ciò che si vede e si tocca. Eppure,
paradossalmente, ci si dimentica che, quasi inconsapevolmente, ci si affida e
ci si fida di molte altre realtà che, pur prive di tangibilità e verifica
empirica, godono di un tacito consenso collettivo.
Alla luce di queste considerazioni, ci si chiede: come
può la proposta educativa cristiana calarsi concretamente in un simile tessuto
culturale?
“Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”
(cf. Gv 20,29)
Gesù invita con forza alla fede. In modo solenne e
profetico, il Risorto si rivolge a San Tommaso con una correzione educativa,
esortandolo a superare il dubbio e la diffidenza. Con infinita lungimiranza,
proclama beati coloro che, pur non avendo visto, scelgono di credere: uomini e
donne capaci di vincere il pregiudizio, aprirsi alla fiducia e abbracciare la
relazione con Dio in senso verticale, e con sé stessi e con gli altri in senso
orizzontale.
L’eternità è priva di spazio e tempo, ma è colma di
coordinate interiori che si esprimono attraverso gli atteggiamenti. La
diffidenza nasce spesso dalle delusioni, ma anche dalle assolutizzazioni e
dalle generalizzazioni delle proprie esperienze. Pertanto, è necessario
iniziare sempre da sé stessi per abbattere quei muri che, talvolta, ostacolano
— e non poco — lo sviluppo della propria elevazione umana, culturale e
spirituale.
Se, ad esempio, una persona mi ha deluso, questo dato
oggettivo può diventare occasione di introspezione e aiutarmi a comprendere
che, forse, sono state le mie aspettative a non essere soddisfatte. In tal
caso, più che accusare l’altro, posso mettermi in discussione e cogliere
l’opportunità per migliorare o trasformare ciò che, in me, si presenta come un
limite… o forse come una potenzialità.
La proposta di vita cristiana si offre all’essere
umano come sostegno per un cammino di conoscenza, crescita e maturazione nella
fede, capace di favorire un impatto con la vita non traumatico, ma costruttivo
e positivo. In una società fondata sulla democrazia e animata dallo spirito del
pluralismo, i valori cristiani non rappresentano un ostacolo né un vincolo,
bensì una risorsa preziosa. Essi permettono all’uomo — spesso dominato da
logiche meccaniche, calcoli, probabilità e tornaconti — di tornare a respirare
l’aria della ricerca e del desiderio di verità. In questa tensione verso il
senso profondo dell’esistenza, Cristo Maestro e il suo messaggio salvifico possono
diventare un punto di riferimento autentico e adeguato, capace di orientare il
cuore e la mente verso ciò che davvero conta.
cosa conta davvero? Una domanda che, nel tempo,
ha finito per stancare chi la pone, come se la sua risposta fosse ormai irraggiungibile
o irrilevante. Eppure, agli albori della storia della salvezza — attorno al
1850 a.C., con l’inizio della vicenda dei Patriarchi — è possibile rintracciare
un insegnamento ancora oggi sorprendentemente attuale.
Dopo le figure di Abramo e Isacco, il libro della Genesi
introduce il ciclo narrativo dedicato a Giacobbe. La sua storia, segnata dalla
rivalità con il fratello Esaù, dagli intrighi familiari, dagli inganni e dalle
scelte dettate da impulsi immediati, offre un paradigma interpretativo per leggere
la realtà contemporanea.
La celebre scena in cui Esaù, spinto dalla fame, preferisce
un piatto di lenticchie alla Benedizione paterna — simbolo di eredità
spirituale e identità — rivela una tensione che attraversa anche il nostro
tempo: il conflitto tra ciò che è effimero e ciò che è essenziale, tra il
bisogno immediato e la visione profonda del futuro.
«Esaù disse: “Ecco, sto per morire; a che mi serve allora la
primogenitura?”» (Genesi 25,32)
In questo racconto antico, si cela una domanda che non ha
perso forza: cosa conta davvero? E la risposta, forse, non è da cercare
altrove, ma proprio lì, dove la storia ha cominciato a interrogarsi sul senso
della scelta, del destino e della promessa. Parimenti, il racconto di Giuseppe
presenta delle dinamiche relazionali sorprendentemente attuali: l’invidia, la
difficoltà di trasformare questo sentimento in ammirazione, e l’incapacità di
impegnarsi per dare il meglio di sé, preferendo impigliarsi nel chiacchiericcio
e nelle lamentele. I fratelli di Giuseppe sentono il bisogno irresistibile di
“spegnere” la sua luce per far brillare le proprie ombre: atteggiamenti, scelte
e misfatti coperti dalla menzogna raccontata a Giacobbe, il padre, al quale
fanno credere che Giuseppe sia stato sbranato da una bestia feroce (Genesi
37,31-33).
La parabola di Giuseppe in Egitto — dalla prigione alla corte
del faraone — è costellata di elementi che parlano alla coscienza: le sue
abilità nell’interpretare i sogni (Genesi 40–41), il suo modo di fare che gli
procura una posizione di vantaggio, la sua integrità morale che lo salva e lo
eleva, come nel rifiuto delle avances della moglie di Potifar (Genesi 39,7-12),
il valore della fedeltà e, soprattutto, l’importanza del perdono. Giuseppe non
si vendica, ma concede ai fratelli una nuova opportunità per rimediare,
arrivando a dire: «Voi avevate pensato del male contro di me, ma Dio ha pensato
di convertirlo in bene» (Genesi 50,20). Sono storie senza tempo, che
imperterrite parlano al cuore dell’uomo, lo interpellano nel profondo e lo provocano
in ogni epoca e pagina della storia umana. La vicenda di Giuseppe ci ricorda
che la luce non si spegne con l’odio, ma si alimenta con la fedeltà, la
resilienza e il perdono. In un tempo segnato dalla diffidenza e dalla ricerca
affannosa di certezze tangibili, l’educazione cristiana si rivela come un
cammino controcorrente, capace di restituire profondità all’esperienza umana.
Essa non impone, ma propone; non pretende, ma accompagna. Invita a riscoprire
la fiducia come atto rivoluzionario, come scelta consapevole che apre alla
relazione, alla speranza e alla verità.
La fede, lungi dall’essere una fuga dalla realtà, è un atto
di coraggio: è l’adesione a un senso che supera l’immediato, è la capacità di
vedere oltre il visibile, di credere anche quando tutto sembra incerto. In
questo orizzonte, la figura di Giuseppe — tradito, dimenticato, ma mai spezzato
— diventa emblema di una resilienza che non si piega all’odio, ma si trasforma
in perdono e rinascita. Educare oggi significa aiutare a scegliere ciò che
conta davvero. E ciò che conta non si misura in risultati, ma in relazioni
autentiche, in gesti di fiducia, in scelte che profumano di eternità. È lì che
la luce resiste, anche quando tutto sembra buio.
@scenari.futuri Generazione diffidenza, tra fragilità e Fede l'offerta educativa dell'IRC Lubrino La diffidenza ti sta bloccando? 🧱 😥 Siamo schiavi del "tutto e subito" e ci fidiamo solo di ciò che tocchiamo. Ma questa logica ti rende fragile! Scopri il segreto per superare la paura e l'isolamento: Stop alla Diffidenza: Le delusioni sono occasioni di crescita, non muri. Scegli l'Essenziale: Lascia perdere l'effimero (come Esaù) e punta alla Verità! Il Potere del Perdono: L'unica vera resilienza è come quella di Giuseppe: tradito ma mai spezzato. La fede non è un vincolo, è una RISORSA che ti fa respirare aria di ETERNITÀ. ✨ Guarda il video e scegli cosa conta davvero! 👇 #Diffidenza #Fede #CrescitaPersonale #Motivazione #Perdono #Resilienza #CosaContaDavvero #PerTe #Viral
♬ suono originale - scenari futuri

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