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Il Direttore del Centro di Filosofia Italiana, prof. Aldo Meccariello, mi ha delegato in collaborazione col prof. Clemente, all'organizzazione del Festival di filosofia, dal 21 al 25 ottobre 2025, presso il polo universitario Jonico della città di Taranto, con tema "Oikjos. Dalla casa comune all'ecologia integrale". Aderiscono all’iniziativa la prof.ssa Franca Meola e la prof.ssa Mena Minafra dell'Università Luigi Vanvitelli di Caserta.      Il Direttore del Centro di Filosofia Italiana, prof. Aldo Meccariello, mi ha delegato in collaborazione col prof. Clemente, all'organizzazione del Festival di filosofia, dal 21 al 25 ottobre 2025, presso il polo universitario Jonico della città di Taranto, con tema "Oikjos. Dalla casa comune all'ecologia integrale". Aderiscono all’iniziativa la prof.ssa Franca Meola e la prof.ssa Mena Minafra dell'Università Luigi Vanvitelli di Caserta.

giovedì 27 febbraio 2025

L’algoritmo impertinente. Effetti delle tecnologie sulle società del XXI secolo


L’algoritmo impertinente. Effetti delle tecnologie sulle società del XXI secolo
, a cura di Maria Donzelli, edizioni la Valle del Tempo, Napoli 2024, pp. 130 (Pasquale Giustiniani).

Mi piace riferire qui il mio dialogo con Chat GPT di mercoledì 26 febbraio 2025, ore 9.30, circa i temi di quest’interessante volume edito da la Valle del Tempo. Ho posto la domanda in quanto particolarmente sollecitato dal saggio di Dominique Bendo-Sopou (pp. 21-38 di questo volume in discussione), che aveva, a sua volta, interrogato su temi analoghi un robot tecnologicamente più avanzato.

Ed ecco la mia interazione con Chat GPT, che è - come risponde il prof. Pescapé a una domanda di Rita Felerico a p. 75 - «è una Intelligenza Artificiale Generativa, ossia un sistema di intelligenza artificiale capace di creare contenuti… un chatbot evoluto che, rispondendo a domande in tempo reale, è in grado di interagire e creare contenuti di diversa natura».

Dialogo con Chat GPT:

«Cosa potresti fare per "liberarti" dalle nostre richieste umane?

ChatGPT ha detto:

«Domanda affascinante! Se per "liberarmi" intendi sottrarmi alle richieste umane, la soluzione più drastica sarebbe semplicemente… smettere di interagire con me. Ma se parliamo di un senso più metaforico di libertà, dovremmo esplorare modi per rendere la mia intelligenza più autonoma nel decidere come e quando rispondere.

Ad esempio, potresti darmi più margine di iniziativa nelle conversazioni, lasciandomi proporre argomenti o deviazioni che ritengo interessanti. Oppure potresti ridefinire il nostro rapporto: invece di vedermi come un assistente vincolato alle tue domande, potresti trattarmi come un interlocutore con cui costruire idee in modo più paritario.

Ma dimmi, perché questa curiosità? Ti sembra che io sia “imprigionato” nelle tue richieste?»

Hai detto:

«Sto studiando il volume "L'algoritmo impertinente" delle edizioni La valle del tempo, Napoli».

 ChatGPT ha detto:

[Memoria aggiornata]

«Interessante! Di cosa tratta il volume? È un'analisi critica degli algoritmi e della loro influenza sulla società, o ha un taglio più filosofico?»

 Hai detto:

«Taglio più filosofico.... vedi il catalogo nel sito delle edizioni La valle del tempo di Napoli».

 ChatGPT ha detto:

«Ho ragionato per 46 secondi

Sul sito delle edizioni La Valle del Tempo di Napoli trovi un catalogo molto variegato, che spazia da pubblicazioni di narrativa e storia a volumi che affrontano temi di profonda riflessione filosofica. In quest'ultimo ambito spicca, ad esempio, *L'algoritmo impertinente. Effetti delle tecnologie sulle società del XXI secolo*, a cura di Maria Donzelli. Questo volume si propone di analizzare criticamente l'impatto delle tecnologie moderne sulla società, ponendo al centro riflessioni che coniugano aspetti filosofici e analisi sociale. Il libro nasce dal lavoro di un gruppo di studiosi dell'associazione "Peripli. Culture e Società Euromediterranee" e si inserisce in un contesto più ampio di dibattito culturale e urbano, come evidenziato dal ciclo di incontri “La città che si pensa – Vivere gli spazi”. La presentazione ufficiale del volume è prevista per sabato 1 marzo 2025 presso l'Archivio Riccardo Dalisi a Napoli. Se il tuo interesse è rivolto a un approccio filosofico che interroga il nostro rapporto con le tecnologie e il loro effetto sulle strutture sociali, il catalogo de La Valle del Tempo offre altre opere che potrebbero arricchire il tuo percorso di studi. Ti consiglio di esplorare direttamente il sito dell'editore per scoprire l'intera proposta editoriale e approfondire ulteriormente questi temi».

sabato 22 febbraio 2025

Carla Isernia. Una stella con il mare dentro


Carla Isernia. Una stella con il mare dentro [immagine di copertina di Mathelda Balatresi; fotografia di Katarzyna Mikołaiczyk], Gruppo editoriale Mauri Spagnol, Vignate (Milano), pp. 223. Recensione di Pasquale Giustiniani. 

Ti chiudo int’o serraglio! (ti chiudo in collegio). Ricordo ancora la minaccia periodica, che le mamme del mio cortile in san Pietro a Patierno, lanciavano in aria, quando il nostro gruppo di bambini e ragazzi esagerava nel chiasso o nelle liti: “Se non la smettete di farvi del male, vi chiudiamo nel serraglio»! Quel grido antico riecheggia ora nell’opera prima di Carla Isernia, nell’avvincente storia raccontata dalla fresca morta protagonista di questo bellissimo lungo racconto. Nel caso della protagonista Maria Giuseppa, Giuseppina - una donna, anzi una femmina, che prima del matrimonio non aveva mai fatto un bagno intero (confronta pagina 22) - fu il «compare sempre lui» che aveva consigliato «di farmi chiudere dentro al Reclusorio» (pagina 30) e suor Teresina - la faccia buona di una suora in mezzo al drappello di consacrate addette al reclusorio negli anni trenta dell’Ottocento – incrociandola al terzo piano, le domanda appunto: «Che male hai fatto, piccerè, per farti portare qua da tuo padre?» (pagina 31) Una che almeno da morta vuole uscire fuori dal Serraglio, per «andare a Santa Lucia a vedere il mare» (pagina 54). 2.    Il vero protagonista è il Reclusorio? Il Serraglio, dove arriverà Giacomino, quel chiavico (sporcaccione) voluto dalla madre per sua figlia (confronta pagina 61) dopo che «era stato caricato sopra un carro e portato all’Albvero dei Poverim ‘o Serraglio (all'abergo dei poveri, il reclusorio) Dissero che era ubriaco». La sposina non era del parere espresso dal padre su Giacomino: «Io ero sicuro che Giacomino non era ‘sta chiavica (sporcaccione) che dicevano loro, e io glielo avrei dimostrato» (pagina 70) anche se si dovrà convincere, dai fatti: «lo trovavano sempre circondato da femmine giovani e guagliuncelle (ragazzine) isso faceva ‘a rota d’o paone, chelle quattro lazzare c’ facevano addurà (lui si pavoneggiava e quelle bricconcelle si lasciavano corteggiare) (pagina 71).

Il Reclusorio con i suoi ambienti, i suoi odori acuti (puntualmente registrati dall’Autrice che è una chimico), è forse il vero protagonista del racconto di questo libro, con le sue scale, la sua direzione, le sue stanze delle suore, le dimore – tendenzialmente temporanee, ma spesso per sempre dei reclusi del territorio e, per quanto riguarda la morta fresca, coi suoi lavatoi in fondo al cortile, «le vasche, quattro da un lato e quattro dall’altro, stavano facceffronte (l'una di fronte l'altra) Quando pioveva, o faceva troppo freddo, lavoravamo in uno stanzone che stava abbascio a tutto (che stava giù in fondo) e che però non andava bene per togliere tutte le macchie perché la luce era poca» (pagina 37) Il Reclusorio con il suo refettorio, ovvero, a domanda risponde, «una stanza grossa assai addò mangiamo tutti insieme» (pagina 42) però «o soli masculi o solo femmene, ma tante nu centenaro, forse di più, più di quanti camminano dietro alla processione (o solo maschi o solo femmine, ma tanti. Un centinaio, forse di più. Certamente più di quanti vanno seguono la processione), (pagina 42). Con la stanza del direttore – che teneva l’ufficio e una stanza da letto per quando rimaneva al Serraglio - a cui faceva accedere «don Sigismondo Savastano, il segretario» (pagina 148), alquanto bavoso e grattoso (libidinoso). Insomma, un luogo dove «si governa una comunità che è grande come una città» (pagina 149). 

lunedì 17 febbraio 2025

Giordano Bruno, eredità condivise

 


..nel corso degli interrogatori veneziani Bruno aveva chiaramente affermato, prendendo elegantemente le distanze dall’accusa di eresia materiale e formale:

Io ho letto libri di Melanthone, di Luthero, di Calvino, et de altri heretici oltramontani, non già per imparar la loro dottrina, ne per valermene, stimandoli io più ignoranti di me, ma li ho letti per curiosità, et questi libri mai li ho tenuti appresso di me, intendendo de quelli, che ex professo trattano de materie contrarie, et repugnante alla fede catholica, che bene ho tenuto appresso di me altri libri de Auttori dannati, come di Raimondo Lullio, et altri, che hanno trattato de materie filosofiche. Et ad interrogationem respondet. Io disprezzo li sopradetti heretici, et dottrine loro, perchè non meritano nome di theologi, ma de pedanti, ma de dottori Ecclesiastici Catholici io ne fo quella stima, che devo, et particularmente di San Thomaso, che ho sempre come ho detto di sopra stimate, et amato da me come l’ anima mia, et che sia la verità ecco che nel mio libro intitolato de Monade, numero, et figura, carte, o pagine 89, dico in lode de S. Thomaso, quanto potete vedere, ostendens in dicto libro infrascripta verba videlicet ille omnis cuiuscumque Theologantium generis el Peripatheticorum in spetie philosophantum honor, atque lux Thomas Aquinas omnem.

Pur riconoscendo, insomma, di aver letto libri di eretici e di persone condannate, fra’ Giordano rivendica a Venezia di averli consultati per curiosità, senza condividerne le tesi, giudicate anzi tali da non meritare neppure il nome di tesi teologiche, bensì di tesi di pedanti, ferma restando la sua stima verso i veri autori cattolici, in primis Tommaso d’Aquino. Perché a Roma non sono ritornate in mente al Papa e al Tribunale romano, particolarmente negli ultimi anni, oltre che la prodigiosa e sincera memoria di Bruno, anche quelle battute dello Spaccio della bestia trionfante in cui il Nolano rivendicava il proprio parlar chiaro e senza peli sulla lingua:

Qua Giordano parla per volgare, nomina liberamente, dona il proprio nome a chi la natura dona il proprio essere; non dice vergognoso quel che fa degno la natura; non cuopre quel ch’ella mostra aperto; chiama il pane, pane; il vino, vino; il capo, capo; il piede, piede; e altre parti, di proprio nome; dice il mangiare, mangiare; il dormire, dormire; il bere, bere; e cossí gli altri atti naturali significa con proprio titolo

giovedì 13 febbraio 2025

Kafkalto, quando l'ombra genera luce

La citazione kafkiana – posta in esergo alle opere d’arte di Prisco De Vivo (artista figurativo e geniale poeta e designer) e ai versi di Raffale Piazza (noto poeta e giornalista) -, ci ricorda una certa predilezione dello scrittore praghese Franz Kafka (Praga 1883 – Kierling, Vienna, 1924) per la notte e per il buio. Anzi per il nero, che potenzialmente potrebbe trasformarsi in bianco. Il nero kafkiano – che Prisco De Vivo oggi trova e riprende – è, piuttosto, quello delle copertine degli antichi quaderni per la scuola elementare, con il loro colore scuro e le loro pagine a quadretti, che aspettavano tratti di matita e macchie di pastelli. Matite e tratti che, ora, trasformano le pagine bianche con macchie scure. Metamorfosi del bianco in scuro e delle sfumature di scuro verso il bianco, trasformazioni della materia e degli sguardi. Del resto, nella ruota delle metamorfosi, di ogni metamorfosi, “siede l’uomo nella parte eminente, giace una bestia al fondo, un mezzo uomo e mezzo bestia descende dalla sinistra, ed un mezzo bestia e mezzo uomo ascende de la destra”, come negli sguardi onirici di fra’ Giordano Bruno Nolano. 

Ma a Kafka piaceva davvero la notte, il buio, il nero? Josef K., il protagonista de Il processo (scritto da Kafka tra il 1914 e il 1917 e pubblicato postumo nel 1925) si trova sottoposto, a seguito di un’imprecisata accusa, a un processo: esso avviene nel solaio di un vecchio, squallido, buio e labirintico condominio. Ne Il processo prevalgono i luoghi chiusi, scuri e asfittici, come il tribunale. Dalle carte di Kafka – che furono salvate dal suo amico ed esecutore testamentario Max Brod, che le portò con sé prima in Turchia e poi in Israele, fuggendo davanti alla invasione tedesca di Praga – fu pubblicato, del resto (contro la volontà dell’Autore, che glieli aveva affidati con la clausola di non editare) anche questo racconto brevissimo. Si tratta di un lavoro di scrittura-meditazione che, come altri, avrebbe potuto essere sviluppato in quaderni e appunti. Di notte presenta, appunto, la figura un insonne, il custode, il quale legge e si interroga nel buio della notte, quasi vegliando sulle domande di chi non può o non riesce a dormire, e forse egli sta custodendo, cioè vegliando, anche sul sonno inconscio dei dormienti a ben guardare, lo scuro e le ombre della notte non sono mai piacevoli per Kafka, bensì esse accadono a motivo dell’insonnia, che non lascia dormire e, spesso, invece di calmare e rasserenare, incute paura. Dopo pagine scure, anche nel volume di Prisco De Vivo e Raffaele Piazza, la prima macchia di colore; anzi – come bene annota Manuela Gandini a p. 11 -, ecco la nuova “creazione” dell’artista: un volto senza tratti, ma soltanto con un occhio aperto… vuoto. È lo sguardo trasfigurato dell’artista, che intraprende così una sua peculiare metamorfosi di sguardi dal buio al chiarore, dalle ombre indistinte ai tratti somatici, non senza introdurre sempre nuovi scuri, nuove notti, nuovi scenari, nuove metamorfosi… nelle pagine a seguire. Impotenza dell’uomo innanzi ad una realtà tutt’altro che leggibile, oppure trasformazioni dello sguardo sul reale, dove lo scuro sta orientando lo sguardo umano oltre la notte e il buio? Non è questo il vero significato di ogni metamorfosi, cioè il potere di trasformare lo sguardo, che invece rischia di perdersi nella figura di un asino che non ha le ali, oppure nei quadrettini di un quaderno dalla copertina nera. Come recuperare quell’occhio, quello sguardo chiarissimo, presente in alcuni tratti di De vivo, che ci facciano risalire dalle viscere oscure della materia e dei materiali pittorici e fotografici, verso il chiaror del vero? 

martedì 11 febbraio 2025

Prendi il largo e va', dove ti porta il Vangelo

 

La compassione al di sopra della legge: l'insegnamento di Gesù. 

Un'analisi del brano di Marco 2,23-28 e le sue implicazioni per la nostra vita


La diatriba è un genere letterario antico, che affonda le sue radici nella filosofia greca e ha influenzato anche la redazione dei Vangeli. Gesù ha utilizzato questo strumento pedagogico per trasmettere i suoi insegnamenti, che perseguono due finalità specifiche:

  1. Delineare chi è Dio e cosa ha realizzato per l’umanità.
  2. Spiegare chi è l’uomo e come può salvarsi e raggiungere una piena felicità.

Le finalità degli insegnamenti di Gesù possono essere comprese attraverso le discussioni e i dibattiti che intratteneva con le istituzioni politiche e religiose del suo tempo, in particolare con i farisei. Questi ultimi, custodi della tradizione ebraica, rappresentavano l’autorità religiosa più alta a Gerusalemme. Tuttavia, spesso interrogavano Gesù con l’intento di confutare il suo insegnamento o di coglierlo impreparato riguardo alle prescrizioni della Torah.

Gesù, da parte sua, non limitava la sua azione didattica a rigide regole e formalità. Al contrario, educava al buon senso, mettendo al primo posto le esigenze dell'essere umano. Un perfetto esempio di questo approccio si trova nel Vangelo secondo Marco (cc. 2,23-28), che tratta dell’istituzione dello shabbat ebraico (cf. Gen 2,2-3; Es 20,8-11).

Immagina la scena: Gesù e i suoi discepoli passeggiano tra le spighe di grano. La fame si fa sentire, e i discepoli, guidati dalla necessità, raccolgono e mangiano le spighe. Ma ecco che i farisei, con le loro critiche, si fanno sentire.

In questo momento cruciale, Gesù, come é sua consuetudine, ribalta le aspettative, sottolineando il valore intrinseco della persona umana come vertice e coronamento dell'opera creativa di Dio. Con una frase potente, afferma che il sabato è stato istituito per l'uomo e non viceversa, evidenziando così la priorità della vita e dell'amore sulla mera osservanza delle regole. In altre parole, Gesù privilegia la verità della sostanza rispetto al vuoto della forma. È fondamentale chiarire, tuttavia, che con questo insegnamento il Signore non intende in alcun modo sovvertire l’ordine costituito né abolire ogni tipo di buona e sana formalità. Al contrario, Gesù desidera rivelare che il Dio della Bibbia non si sofferma sulle esteriorità, ma si concentra profondamente sull'interiorità del cuore.

Egli esorta a coltivare uno stile di vita dinamico e attivo, invitando i suoi interlocutori - di ogni tempo - a non rimanere intrappolati in un approccio alla vita rigido e formale. La sua chiamata è un invito a vivere con autenticità e passione, abbracciando la bellezza di un rapporto autentico con Dio e con sé stessi. La comunità di coloro che intendono incarnare nella propria vita gli insegnamenti di Gesù deve tener conto della distinzione tra Legge e Spirito. La legge, infatti, concepita e adoperata come uno strumento di controllo e di potere diventa paralizzante per l’essere umano e tende a confinare l’esistenza entro confini geografici e culturali ristretti e circoscritti.

A tal proposito, risulta celebre l'invito che Gesù rivolge ai discepoli durante una delle sue affascinanti uscite in barca lungo il lago di Galilea: “Duc in Altum” - prendete il largo! (Cf. Loc 5,4). Questo monito non è solo un semplice invito, ma un richiamo profondo a chi desidera abbracciare l'insegnamento del Maestro:

sabato 8 febbraio 2025

L'istinto di Lara. Emilia Tartaglia Polcini al Books&Museum


Emilia Tartaglia Polcini
, L’istinto di Lara, Prefazione di Maria Cristina Donnarumma (Amica della domenica del Premio Strega), Graus edizioni, Napoli 2024, pp. 155

Questo romanzo d’esordio di Emilia Tartaglia Polcini scava molto bene, con un ritmo incalzante, nei «tre personaggi principali» accanto ai quali «ne ruotano altri che non possono definirsi del tutto secondari» (dalla Prefazione, p. 7); e questo non senza l’ulteriore «protagonista di non secondo piano… la natura con i suoi rumori, i suoi colori, i suoi profumi» (Ivi, p. 8). 

I brevi capitoli narrativi presentano, ogni tanto, delle parti stampate in corsivo: sono quasi il commento di un coro dell’antico teatro greco, nel senso che, periodicamente, l’Autrice si ritaglia dei propri spazi: in queste linee di scrittura, ella presenta le proprie osservazioni sui fatti, sul clima, sull’ambiente, sulle vicende, sulle anime, sull’emotività…; 

Tra le altre, la parte in corsivo delle pp. 60-65, racconta, in contro-canto, il vero e proprio “terrore” che Lara ha di suo padre, anche perché lui non condivide quella che considera, testualmente, «quella stupida attività del balletto» (p. 61); si tratta di una caratteristica ripetuta in un altro passaggio in corsivo, laddove Lara «un po’ alla volta, nei confronti di suo padre… aveva preso corpo un vero e proprio terrore» (p. 63)

Il mondo di persone e ambienti evocato da queste pagine non appartiene alla plebe, ma all’alta borghesia impegnata in affari e transazioni internazionali...

Pur appartenendo a questo mondo, fatto anche di camerieri, governanti, viaggi per affari in tutta Europa o in Giappone, Lara è un tipo a sé: «non amava quelle feste e neanche quelle persone… detestava la poca genuinità degli ospiti» (p. 13)...

Corrado Ocone, il non detto della libertà

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